Le conclusioni del G7 e la prospettiva globale
Amedeo Lepore
L’appuntamento del Gruppo dei Sette in Italia non poteva intraprendere un percorso del tutto innovativo, impraticabile per l’inattualità di un modello e per le condizioni di debolezza di alcuni dei suoi esponenti, ma un primo segnale positivo è emerso. L’apertura al Sud globale e le conclusioni del G7 hanno mostrato non solo il proposito di ampliare una compagine pensata per un mondo diverso a nuovi protagonisti della scena internazionale, ma anche la necessità di sperimentare strategie inedite, in grado di cogliere gli snodi di una molteplicità di crisi interconnesse e di un contesto sempre più complesso, a cominciare dall’Africa e dal Mediterraneo, tema affrontato da editoriali e articoli di questo giornale nei giorni scorsi.
Le svolte della storia è difficile si preannuncino con largo anticipo, però, il lavorio indispensabile per renderne possibile un’altra ed evitare un brusco arretramento verso il passato richiede la consapevolezza del momento cruciale che sta attraversando il pianeta. L’inizio di un confronto multilaterale, con la partecipazione di numerose rappresentanze esterne al G7 (Algeria, Argentina, Brasile, Emirati Arabi Uniti, Giordania, India, Kenya, Mauritania, Tunisia, Turchia e Santa Sede) e di alcune delle principali organizzazioni internazionali (Banca Africana di Sviluppo, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, OCSE e ONU) ha confortato l’idea di un dialogo oltre le barriere tradizionali, facendo del rapporto con i partners del Sud il terreno su cui costruire relazioni globali maggiormente cooperative e soluzioni credibili all’attuale disordine mondiale. Il documento finale indica l’obiettivo di “una governance globale più efficace, inclusiva ed equa” di fronte a un mutamento epocale.
È, tuttavia, l’impegno per l’Africa che può sostanziare una nuova direzione di marcia, con il sostegno all’operatività dell’Area di libero scambio continentale africana (AfCFTA), con la collaborazione per il miglioramento della sicurezza alimentare, delle infrastrutture, del commercio e della produttività agricola e, in particolare, con un significativo programma di interventi attraverso il Partenariato per le Infrastrutture e gli Investimenti Globali (PGII) dei Sette e il Global Gateway dell’Unione Europea. Il comunicato del G7 fornisce anche il dettaglio delle specifiche iniziative a favore dei Paesi africani, collegando il tema delle sfide globali a quello del progresso del Sud della terra.
Secondo un rapporto del McKinsey Global Institute dal titolo “Reinventare la crescita economica in Africa: trasformare la diversità in opportunità”, entro il 2050 il 25% degli abitanti della terra (2,5 miliardi) proverrà dall’Africa, che offrirà una molteplicità di occasioni per uno sviluppo robusto e inclusivo, mettendo a disposizione una ricca dotazione di risorse naturali e un abbondante potenziale umano – il 40% dei giovani sarà africano – per incrementare la prosperità non solo in quell’area, ma in tutto il mondo. Questo continente non è monolitico, rappresentando un’economia da tremila miliardi di dollari, con una popolazione di oltre 1,4 miliardi di persone, distribuita in 54 Paesi. In questa sterminata estensione, infatti, vi sono aree che crescono più della media complessiva da vent’anni, altre che hanno accelerato la loro performance nello scorso decennio, altre ancora che hanno rallentato recentemente il loro andamento e un ulteriore gruppo che fatica ad avanzare.
Pressoché la metà dell’Africa si trova in Paesi collocati al di sopra della media, che costituiscono, però, solo un quarto del PIL. Il numero delle imprese che realizzano guadagni pari o superiori a 1 miliardo di dollari è di quasi 350 in tutto il continente. Nonostante un quadro globale molto incerto e mutevole, le economie africane hanno rivelato una forte resilienza, ottenendo un aumento del PIL del 3,2% nel 2023, in calo rispetto al 4,1% del 2022, ma registrando una risalita a livello mondiale, che le porterà a una crescita media del 4% tra il 2024 e il 2025. Tuttavia, gran parte dei Paesi africani ha continuato a fare i conti con elevate pressioni inflazionistiche, accumulo di debito, disuguaglianze e povertà diffuse, condizioni sanitarie critiche, cambiamenti climatici ed eventi meteorologici estremi.
Considerando un arco di tempo trentennale, si osserva che mentre negli anni Novanta il PIL è progredito del 2,7% e la popolazione del 12,7%, all’inizio del nuovo millennio il PIL è salito al 5,1%, dando abbrivo al periodo di “ripresa dell’Africa”, con un vorticoso incremento della produttività e un’impennata delle prime trenta economie africane. Negli anni più recenti si è verificata un’inversione di tendenza, con un indebolimento della produttività in ogni settore, patendo una crescita sostenuta prevalentemente dai prezzi delle materie prime e dagli investimenti diretti esteri. Da questo punto di vista, è necessario introdurre consistenti novità, mediante la disseminazione dei processi di digitalizzazione e innovazione tecnologica, la formazione di competenze qualificate in linea con le esigenze di modernizzazione e ampliamento della struttura produttiva interna e la pressante domanda di talenti da parte del resto del mondo, l’innalzamento dell’efficienza dei servizi finanziari e degli investimenti in tutto il continente.
L’Africa, inoltre, è un’enorme miniera di risorse strategiche, possedendo il 93% delle riserve di platino globali, quasi la metà di quelle di cobalto, manganese, rame e litio, essenziali per la transizione ambientale e climatica. Su questo versante, è nell’interesse dell’Europa un atteggiamento di grande apertura, che non punti allo sfruttamento del territorio africano, ma a un contributo al suo sviluppo, non lasciando a iniziative predatorie e convenienze geopolitiche cinesi, russe o arabe questo vasto spazio di crescita. Basti pensare al fenomeno dell’urbanizzazione e all’espansione del mercato di consumo, per comprendere le straordinarie opportunità esistenti per una ripartizione di compiti e una complementarità tra l’economia dell’Africa e quella dell’Europa.
Tornando, quindi agli obiettivi strategici italiani e comunitari, appare sempre più di fondamentale importanza l’idea di un New Deal nei rapporti tra questi due continenti, che non sono protagonisti del disaccoppiamento globale ma che, pur partendo da posizioni differenti, possono svolgere un ruolo chiave nello scacchiere economico mondiale. Essi, infatti, sono legati da un destino convergente, non solo per ragioni geografiche e di prossimità, condensate nelle prospettive dello scenario mediterraneo, ma per il grande impulso economico che può nascere dalla condivisione di un percorso di sviluppo e, chissà, anche per un’alleanza da costruire nell’ottica di un multipolarismo attivo e di pace nelle relazioni internazionali.
Articolo di Amedeo Lepore pubblicato sul Mattino del 24 giugno 2024
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