Ambiente e lavoro non siano disgiunti dai diritti umani
Fermare la distruzione dell'ambiente, tutelare il lavoro e i diritti umani sono obiettivi non più procrastinabili. Interris.it ne ha parlato con il Segretario Confederale della Cisl, Angelo Colombini
In questo periodo l’umanità intera si trova di fronte a sfide epocali come i cambiamenti del mondo del lavoro innestati dalla pandemia da Covid -19, la transizione ecologica ed energetica e la possibilità concreta di approdare a un nuovo modello di sviluppo sostenibile. L’urgenza assoluta sta nel fermare la distruzione dell’ambiente, affrontare la crisi climatica e nel contempo promuovere un sistema produttivo ed economico basato sull’economia circolare, sulla tutela dell’occupazione e dei diritti umani. Gli orizzonti che ci attendono – anche alla luce della COP 26 e del Pnrr sono molteplici. In Terris ha intervistato su questo tema il Segretario Confederale della Cisl Angelo Colombini.
L’intervista
La Cop26 si sta svolgendo a Glasgow, quali auspici si pone la Cisl in merito di salvaguardia dell’ambiente e mondo del lavoro?
“Purtroppo, quest’anno non siamo potuti essere fisicamente presenti alla Conferenza di Glasgow, ma ne stiamo seguendo gli sviluppi. Uno degli auspici è che i temi dell’ambiente e del lavoro non siano sconnessi dalla tutela dei diritti umani, così come abbiamo sempre sottolineato come sindacato. La Just Transition, presente nel preambolo dell’Accordo di Parigi e rafforzato dalla dichiarazione della Slesia della COP 24 di Katowice, fino a Madrid è sempre stata la parola d’ordine del sindacato, a partire da quello mondiale. Rivendichiamo la difesa dei lavoratori, i quali non devono pagare con la disoccupazione il passaggio dall’economia dei combustibili fossili alle energie rinnovabili. La trasformazione ecologica è urgente e da realizzare prima possibile, ma il lavoro e i lavoratori devono essere tutelati e accompagnati nel percorso della riconversione ambientale dell’economia. Nella COP di due anni fa, a Madrid, la Just Transition è diventata la parola d’ordine che ha addirittura sovrastato il tema del clima diventando la nuova accoppiata dei traguardi dell’umanità: “Non ci può essere giustizia climatica se non c’è giustizia sociale”, non c’è benessere ambientale se non ci sono i diritti universali dell’uomo, se non c’è democrazia, partecipazione, riduzione delle disparità sociali. Il nostro auspicio per questa COP di Glasgow, anche a fronte degli importanti investimenti che sono stati fatti in materia negli ultimi tempi, è che si dia concretezza alle parole, in quanto in gioco c’è il primato sulla sostenibilità ambientale, dello sviluppo basato e accompagnato dalla promozione e dalla tutela dei diritti sociali”.
Cosa potrebbe fare la Commissione Europea in materia di Due Diligence obbligatoria su impatti ambientali e diritti umani?
“Innanzitutto, dovrebbe rispettare la promessa, senza ulteriori indugi e ritardi, di presentare all’inizio di questo mese la direttiva in materia di diritti umani e sulla governance aziendale sostenibile per rendere le aziende responsabili per i diritti umani e gli abusi ambientali nelle loro catene di approvvigionamento. Oggi, infatti, non esistono strumenti internazionali vincolanti in materia in quanto gli strumenti Ilo, Onu, Ocse prevedono schemi volontaristici che tuttavia sono stati spesso non attuati adeguatamente. Ciò, oltre alle implicazioni sociali, ha delle criticità per gli investitori nel valutare la sostenibilità aziendale, nonché per comportamenti di facciata di alcune imprese che distorcono il mercato. Il ritardo nell’adozione della direttiva è senza dubbio dovuto ad alcune pressioni che poi si innestano a livello di Paesi rispetto a legislazioni nazionali volte ad escludere che le imprese siano responsabili per i danni alle persone o al pianeta nella loro catena di approvvigionamento. Occorre un’azione concreta affinché l’UE agisca con uno strumento per garantire che tutte le aziende europee applichino standard lavorativi e ambientali decenti in tutta la loro catena di approvvigionamento, che copra gli attuali ma anche potenziali impatti sociali e ambientali- con report annuali e meccanismi di allerta-, e che includa nella definizione di diritti umani anche quelli sindacali anche attraverso il pieno coinvolgimento del sindacato in tutti i processi conseguenti. La Cisl, insieme alla Confederazione dei sindacati europei (Ces), sostiene fortemente l’adozione di una direttiva europea sulla Due Diligence”.
In che modo si possono creare delle governance aziendali più responsabili in materia di salvaguardia dei diritti umani e prevenzione degli abusi ambientali?
“Sicuramente avendo un riferimento normativo europeo che però sta tardando ad arrivare. Voglio però sottolineare che la direttiva sulle Due Diligence, oltre al non poter esser considerata un’alternativa al dialogo sociale e alle clausole sociali nei trattati commerciali, deve necessariamente essere collocata in un quadro più ampio di attenzione a ciò che si produce e al come lo si produce e di strumenti efficaci conseguenti (Responsabilità Sociale delle Imprese, maggiore trasparenza delle attività commerciali attraverso un registro europeo e report per paese, principi di tassazione equi affinché si paghino tasse lì dove si generano i profitti). La direttiva è una misura che deve essere affiancata alle rivendicazioni per una governance d’impresa sostenibile che esalti il protagonismo del sindacato e preveda meccanismi efficaci in grado di affrontare un contesto sempre più complesso e globalizzato che impone grande attenzione alla protezione dei diritti del lavoro e sociali in tutta la filiera produttiva globale. In sostanza è necessario un modello di sviluppo più sostenibile che tenga in considerazione i fattori e le implicazioni sociali e ambientali e che sia basato su un approccio necessariamente partecipato che veda il pieno coinvolgimento del sindacato attraverso la contrattazione e la partecipazione dei lavoratori”.
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