L’inutile doppio filtro MEF-MISE
Franco Bassanini, Claudio De Vincenti e Marcello Messori - Il Sole 24 Ore
Il decreto-legge 23/2020 ha il pregio di allineare l’Italia agli altri maggiori Paesi dell’euro area nella predisposizione di strumenti quantitativamente adeguati per finanziare le imprese colpite dalla pandemia. Anche la strada prescelta è condivisibile: garanzie pubbliche che incentivino il settore bancario a utilizzare gli ingenti flussi di liquidità, concessi a tassi negativi dalla BCE, per la concessione di crediti a breve e medio termine. Il decreto non assicura tuttavia un’erogazione di tali crediti in tempi tanto brevi e a condizioni tanto convenienti per le imprese, quanto sarebbe necessario. Il Governo o il Parlamento, in sede di conversione del decreto, dovrebbero perciò apportarvi ritocchi o miglioramenti.
Le innovazioni introdotte riguardo al Fondo Centrale di Garanzia (FCG) vanno nella giusta direzione: ampliamento del perimetro rispetto alle piccolo-medie imprese (PMI) ammesse e all’ammontare dei finanziamenti garantiti, gratuità della garanzia, valutazione basata sui soli dati di impresa antecedenti la crisi, innalzamento al 90% della garanzia diretta, elevabile al 100% e senza valutazione del Fondo per i crediti inferiori a 25.000 euro, tetto massimo al tasso di interesse bancario per questi ultimi crediti. Si può arrivare al 100%, ma solo sommando garanzia FCG e garanzia Confidi, anche per le imprese con fatturato non superiore a 3,2 milioni e per un importo massimo del 25% del fatturato (800.000 euro). A nostro avviso, si dovrebbe semplificare estendendo a queste operazioni la garanzia diretta del Fondo al 100% e senza valutazione ex ante (al più, con una valutazione ex post per le operazioni di importo più consistente). Inoltre, si dovrebbe prevedere un tetto massimo dei tassi bancari di interesse per tutte le operazioni coperte dal FCG.
Veniamo alla SACE. Le novità relative all’export sono positive: seguendo il modello tedesco e francese, elevano di fatto l’ammontare e i limiti delle operazioni garantibili specie nei confronti di settori (cantieristica, difesa) e Paesi rischiosi. Quanto alle garanzie per il finanziamento di imprese nazionali che non hanno accesso al FCG o che, pur essendo PMI, hanno esaurito il relativo plafond, pensiamo sia essenziale ridurre i tempi delle istruttorie e il costo complessivo dei finanziamenti (ossia la somma fra costi unitari delle garanzie e tassi bancari di interesse).
È possibile ridurre i tempi mediante ulteriori semplificazioni. Un esempio è offerto dall’art.1, comma 7 del decreto che prevede un decreto MEF-MISE per selezionare, tra le imprese di maggiori dimensioni, quelle che meritano la garanzia pubblica perché considerate rilevanti per la nostra economia. L’interrelazione fra le varie attività produttive nazionali e la necessità di valorizzare i vari apporti alla ripresa inducono a ritenere che pressoché tutte le nostre imprese siano rilevanti. Dunque, il filtro ministeriale è un’inutile complicazione, a meno che non miri ad aprire una negoziazione politica o burocratica con le imprese; in tal caso però, esso non produrrebbe solo una perdita di tempo: perpetuerebbe pratiche intollerabili, specie in una situazione di emergenza.
Sotto il profilo dei costi totali, il decreto prevede che le banche possano erogare i finanziamenti garantiti da SACE a tassi che, sommati ai costi delle garanzie, non addossino alle imprese oneri finanziari maggiori di quelli sopportati su crediti privi di garanzia e precedenti lo shock pandemico. Una regola del genere incentiva, però, le banche a fissare i tassi di interesse alla soglia massima compatibile con la norma e a sostituire i loro prestiti non garantiti, che sarebbero stati comunque erogati, con crediti garantiti. Si può pensare che, oggi, le imprese italiane sopportino costi finanziari unitari pari a quelli vigenti prima del crollo della loro redditività? è efficace trasferire alle banche i benefici della sostituzione fra prestiti garantiti e non garantiti? È in gioco oggi la sopravvivenza di una parte significativa del nostro apparato produttivo: occorre, quindi, ridurre al massimo gli oneri finanziari per le imprese. Si dovrebbe dunque comprimere i tassi fissabili dalle banche sui finanziamenti garantiti, considerando che i loro costi di rifinanziamento presso la BCE sono ancor più negativi di prima e che la convenienza a sostituire prestiti non garantiti con prestiti garantiti va minimizzata. Sulla scia di quanto hanno già fatto altri Stati dell’euro area, si potrebbe poi sfruttare una possibilità offerta dal Framework europeo (entro il limite degli 800.000 euro): associare alla garanzia un contributo a fondo perduto a favore delle imprese per compensare o ridurre il costo della stessa garanzia.
Per concludere, due osservazioni. Primo: gli stanziamenti a copertura delle garanzie andranno fortemente incrementati una volta che il Governo avrà l’autorizzazione parlamentare ad aumentare il disavanzo pubblico. Secondo: alle nostre imprese non servirà solo liquidità; nella fase 2 esse avranno soprattutto bisogno di capitali, infrastrutture, semplificazioni normative e burocratiche, incentivi alla ricerca e all’innovazione.
Seguici sui social