08 aprile 2025   Articoli

Dazi Usa, la risposta da parte dell’Europa non può essere che unitaria. Per fortuna

Paolo Brunori - Professore associato Scienza delle finanze - Università di Firenze
Giuseppe Coco - Professore di economia politica

Una irresistibile ondata di moderazione ha investito il nostro governo sulla questione dei dazi, ed anzi la Presidente del Consiglio sostiene che i danni veri non li fanno i dazi di Trump, ma la regolazione europea. Addirittura, abbiamo assistito in questi giorni a una conversione liberoscambista che ha portato molti esponenti di governo a sostenere che i dazi che potremmo imporre sarebbero comunque dannosi per la nostra economia, indipendentemente dai dazi di Trump. Al di là della sorpresa per l’improvviso cambio di toni da parte di chi ha sempre sostenuto che bisognava difenderci in maniera molto più aggressiva dalle minacce commerciali provenienti dall’estero, la questione da porci riguarda le ragioni dei dazi e quindi quale sia la probabilità che Trump faccia retromarcia, ma soprattutto quale sia la strategia dell’Europa che rende più probabile questa retromarcia. 

La probabilità che Trump si rimangi i dazi sono minime perché non si capisce cosa potremmo concedere in una negoziazione che non sia altrettanto dannoso. Trump ha più volte sostenuto che l’IVA sarebbe in realtà un dazio implicito, perché gli importatori devono corrisponderla interamente all’ingresso nell’Unione Europea, ma questo dipende dal fatto che i produttori interni già la scontano nei passaggi precedenti di produzione. È inconcepibile esentare le importazioni dall’IVA, fatto che equivarrebbe a un sussidio all’Import. La possibile richiesta alternativa sarebbe limitare la regolazione delle piattaforme digitali americane e della Intelligenza Artificiale, un tema che investe la sicurezza nazionale ed europea e sul quale il Presidente del Consiglio ha addirittura imperniato le discussioni del G7 a presidenza italiana. Tralasciando il fatto che se dobbiamo trovare un difetto nell’azione del regolatore europeo nei confronti dei grandi monopoli digitali esteri si tratta semmai di un eccesso di prudenza; cosa dovremmo pensare di una retromarcia così clamorosa? 

Ma dobbiamo anche chiederci cosa renda più probabile un esito positivo di una trattativa. È meglio subire o replicare con dazi, questi sì, reciproci? Non si capisce come subire i dazi americani senza replicare possa aumentare le probabilità di raggiungere un accordo, se non estremamente penalizzante. Trump è già sotto assedio per il crollo delle borse e la manifesta follia della sua politica e sappiamo che è mosso da una logica estorsiva, considerando l’illogicità della misura delle tariffe tra paesi. La ciambella di salvataggio che gli stanno lanciando i ‘sovranisti’ europei è incomprensibile, considerando che, come si è ampiamente visto, non c’è da aspettarsi alcuna reciprocità. L’Amministrazione Trump ci considera patetici, incapaci di difendersi e sfruttatori delle capacità di difesa degli Stati Uniti. D’altronde è nella logica sovranista che non sia attraverso il rafforzamento di istituzioni multilaterali di mediazione e sintesi degli interessi ma che ogni paese debba massimizzare il proprio interesse, ma sia attraverso l’uso della forza, politica, commerciale e militare, se necessario. Ed è in questo contesto che si manifesta la debolezza e il carattere imbarazzante del sovranismo delle nazioni oggettivamente deboli come la nostra. Dover subire in silenzio gli insulti dei forti e degli autoritari, per fare i bulli solo con i deboli e i democratici, anche se amici. 

Di tutte le proposte imbarazzanti però, la più assurda viene sia da alcuni ministri sia da parte dell’imprenditoria: quella di compensare i dazi con aiuti di Stato alle imprese esportatrici. Cioè, in pratica pagare i dazi a Trump con la spesa pubblica, ovvero con le tasse degli italiani o nuovo debito. Le stesse persone che pochi giorni fa hanno sostenuto che non potevamo riarmarci per difenderci, perché non abbiamo denaro nemmeno per la sanità, oggi sostengono che dobbiamo finanziare quasi direttamente i tagli delle tasse dei ricchi americani che farà Trump. Perché il sospetto sempre più concreto è che in realtà i dazi servano a Trump per costituire una riserva per fare un taglio di imposte tra poco più di un anno, in vista delle elezioni di mid-term, visto che la situazione del debito esplosivo USA non consente altre strade meno impopolari. Sarebbe un risultato straordinario per i sovranisti, finanziare il taglio di tasse degli altri.  

Per fortuna le strategie più o meno fantasiose e improvvisate degli esponenti di governo italiani non hanno grandi prospettiva di incidere sulla risposta europea alla mossa trumpiana. Facendo parte di un’unione doganale, la risposta può solamente essere unitaria. Non ci resta quindi, ancora una volta, che affidarci alla qualità della classe politica del resto d’Europa che, seppur lontana dalla grandezza dei padri ispiratori di questo grande progetto di pace e prosperità, giganteggiano rispetto ai leader di opinione della nostra povera patria. 

 

Paolo Brunori,

Giuseppe Coco

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