17 giugno 2020   Articoli

La «nostra» linea d'ombra

Viola Ardone - Corriere del Mezzogiorno

Viola Ardone - Scrittrice

Esce Svevo. No, no, esce Pirandello, è sicuro. Macché: Ungaretti, che manca da dieci anni. Erano gli ultimi giorni di giugno del 1992 e alla fine la traccia di italiano - la temutissima prima prova di maturità - fu sul Crepuscolarismo. Nel programma che avevamo svolto non c’era, e non ricordo se fui l’unica in classe a tentare ugualmente la sfida, ma per fortuna andò bene.

A voi ragazzi che a partire da oggi affrontate l’esame di maturità mancherà il toto-traccia. Mancheranno tante cose, in verità. La liturgia delle prove scritte, i banchi disposti a scacchiera, la brutta e la bella copia, i professori tra i banchi a tenere a freno la tentazione di copiare, le ore – lunghissime - che trascorrono però troppo veloci nella risoluzione di un problema di matematica o di una subordinata con l’aoristo passivo, i nomi dei membri esterni e la caccia alle informazioni su di loro, l’attesa, tutti insieme, che si aprano i cancelli, gli amici che ti accompagnano all’orale e seguono poi ogni tua parola con il fiato sospeso. Esce Svevo, esce Pirandello, esce Ungaretti. Quest’anno non esce proprio nessuno. Solo da poco hanno fatto uscire voi di casa, e poi vi hanno permesso di tornare a scuola un solo giorno, l’ultimo.

Sarà un esame facile, dice qualcuno, edulcorato, una pura formalità. Ma io non lo credo. La forza dei riti di passaggio risiede proprio in questo, nella capacità di modificarsi e rinnovarsi senza perdere la loro intrinseca caratteristica di essere una linea di spartiacque tra due momenti: un prima e un dopo. La demarcazione tra due territori, in questo caso quello della fanciullezza e quello della maturità. E non a caso quello che nei documenti del Ministero si chiama ormai da anni Esame di Stato, per tutti è ancora e sempre “la maturità”, con l’articolo determinativo a sottolineare l’unicità dell’evento.

Per l’esame dell’anno del Covid si è optato per una soluzione di compromesso, di quelle che lasciano scontenti un po’ tutti. Un esame in presenza, ma tronco delle prove scritte, di fronte ad una commissione formata da soli membri interni ad eccezione del presidente. Un maxi-orale di circa un’ora che probabilmente avvantaggia quelli che, tra voi alunni, hanno maggiore parlantina e soffrono meno l’emotività. Un esame che però salvaguarda anche il lavoro che avete svolto nel corso del triennio, dato che saranno i vostri professori a giudicarvi.

Probabilmente, dal momento che si è scelto di rischiare, portando voi ragazzi e gli insegnanti a scuola, si poteva andare fino in fondo e proporre l’esame nella sua forma tradizionale. Del resto palestre, locali notturni e centri commerciali ci dimostrano che i rischi, se ci sono, sono ovunque.

Si è preferita invece una forma mediana che delude forse proprio voi studenti, perché misurarsi con qualcosa di complesso dà più soddisfazione, perché l’adrenalina piace, soprattutto alla vostra età.

Tra dieci anni, però, magari venti, quando vi faranno la canonica domanda, anche voi avrete qualcosa da ricordare. Ricorderete, per esempio, che siete diventati maturi nei mesi in cui il mondo era barricato in casa e le strade deserte, che i professori che vi hanno accompagnato all’esame li avete visti per moltissime ore solo attraverso il monitor di un tablet, che dopo un pomeriggio di studio il telegiornale della sera recitava numeri di morte, che quando la connessione era scadente avete dovuto uscire e rientrare nell’aula virtuale almeno dieci volte e che a fine giornata, spesso, vi siete sentiti soli. Che a sedervi su quella sedia, alla distanza di almeno due metri dai membri della commissione, non ci siete arrivati come l’avevate immaginato: dopo giorni di condivisione e di amicizia, dopo la festa di fine anno, dopo la pizza di fine giugno per salutare i professori.

Ricorderete anche che non ci sono esami facili, e che è la vita spesso ad essere difficile. E allora penserete che siete stati bravi davvero, maturi di una maturità diversa da quella dei vostri predecessori, cresciuti, in quei tre mesi di vita sospesa, più in fretta degli altri.

Che sia bello, il vostro esame, cari ragazzi, che sia tanto emozionante da sognarlo negli anni futuri e da svegliarvi al mattino dopo ancora con l’immagine di voi che attraversate, tutti soli sotto lo sguardo dei professori, la linea d’ombra della vostra maturità.   

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