Kharkiv. La festa di diploma di Valerie in abito da ballo tra le macerie
Viola Ardone - La Stampa
“La bellezza salverà il mondo”, scriveva Dostoevskij, recentemente al centro di una sterile polemica sull’opportunità di far studiare gli autori russi agli universitari italiani finché dura la guerra.
La bellezza riporterà in vita il mondo sembra gridare questa foto che ritrae una studentessa ucraina di rosso vestita che “sfila” davanti alla sua scuola o a quello che ne resta dopo che è stata bombardata dai militari russi.
E, guardando questa immagine, sono proprio le parole di Dostoevskij a tornarmi in mente, forse perché, nel vortice di furia cieca che ha investito l’Ucraina da poco più di tre mesi a questa parte, tra le vittime ci sono proprio la bellezza, la poesia, la letteratura. E così è capitato che il maggiore autore russo di tutti i tempi sia stato messo al bando da innocente, per una sorta di “ipercorrettismo morale”.
Ma in fondo la “scomunica” di Dostoevskij e la foto di questa ragazza postata da una sua zia non sono cose tanto diverse: entrambe ci parlano di bellezza tradita, di cultura tradita, di un doppio e vile tradimento di promesse e di desideri. La tentata esclusione di un autore russo da un corso universitario racconta dell’incapacità di separare il cinismo e la follia della guerra dalle parole di pace, che sono poi le parole della letteratura. L’immagine della ragazza in rosso ci racconta la storia di una studentessa che si preparava per quella che da noi, in maniera un po’ impropria ma efficace, si chiama ancora la “maturità”. Per un evento così atteso e desiderato, quella studentessa ucraina si era preparata bene, e con grande cura aveva comperato anche un vestito che avrebbe indossato per celebrare l’evento: rosso come il futuro, come la vita, come il fuoco che brucia in chi si affaccia alle soglie della vita adulta. Rosso come il cappottino rosso di Schindler’s list. Rosso speranza, insomma.
Ma il 27 febbraio scorso, pochi giorni dopo l’inizio della guerra, la sua scuola è stata distrutta dalle bombe russe cadute su Kharkiv: non ne è rimasto più niente, a eccezione di una lunga ferita che si apre su uno sfondo di macerie e che inquadra uno stretto fotogramma di cielo. Non è rimasto nulla delle aule, dei laboratori, del cortile dove nei momenti di pausa si sentivano risuonare urla e risate. Da quella foto arriva solo il silenzio della distruzione e un buco nero di speranze e sogni dal quale, come un fiore miracoloso, spunta il vestito rosso di Valeria: un papavero testardo che affonda le radici nelle proprie speranze e caccia la testa tra le macerie a sfidare l’orrore. Un trionfo di bellezza, nonostante tutto. Per ricordarci, a quanto pare, che la guerra può distruggere il contenitore ma non il contenuto perché i progetti, le speranze, i sogni sono fatti di un materiale molto più resistente degli edifici.
“Che pensieri soavi, che speranze, che cori, o Silvia mia!”, avrebbe sospirato Leopardi se avesse potuto guardare questa foto, questo sguardo non “ridente” ma certamente “fuggitivo”, modestamente abbassato a constatare la perdita ma a ribadire la fiera volontà di resistere attraverso la propria bellezza e la bellezza dei propri desideri.
Che cosa ci dice quest’immagine? Che una ragazza di nome Valeria non si diplomerà nella sua scuola e non festeggerà con le sue amiche e con il bell’abito che aveva comprato. Che cosa vale questa storia minima di fronte alla conta dei morti? Che cosa aggiunge o toglie al racconto dettagliato che ci arriva quotidianamente dal fronte. Nulla, tutto: dipende dai punti di vista. Per alcuni si tratterà di un male minore, una piccola storia che domani o più probabilmente stasera avremo già dimenticato, una delle tante che ci scorrono davanti agli occhi piluccando sui social in perenne slalom tra notizie e gossip. Per altri si andrà a sommare alla lista, già lunghissima, dei “danni collaterali” di questa sporca guerra, sarà un’ulteriore testimonianza della violenza occulta del conflitto che fa deragliare i treni dai loro binari e le vite dai loro progetti, sarà una delle tante tappe di quella reazione a catena che la guerra innesca e che porta i prezzi del carburante ad aumentare, il costo dei cereali a salire, le persone a impoverirsi, i ragazzi a dover ridimensionare i loro sogni e a fare i conti con le macerie che dovranno spalare; perché è chiaro a tutti che toccherà a loro farsene carico.
Anche i miei studenti, come ogni anno, si preparano per la maturità. Anche loro hanno già comperato i vestiti belli per la festa e stanno progettando le vacanze da fare tutti insieme, il viaggio che resterà scolpito nella loro memoria e immortalato nelle foto, innumerevoli, che faranno. Quelli che si sono diplomati lo scorso anno e due anni fa invece i vestiti belli non li hanno comprati, hanno sostenuto l’esame orale in solitaria, qualcuno davanti a uno schermo, magari con in calzoncini e con le ciabatte ai piedi. E, in un modo diverso, sono state macerie anche quelle. Eppure anche in quelle ciabatte, in quelle camerette con i poster affissi alle pareti c’era bellezza, perché esiste una bellezza che va oltre le macerie: è la bellezza di un fiore che apre la sua corolla rossa in mezzo ai calcinacci, la bellezza di quegli esami fatti al chiuso di una stanza, la bellezza di uno sguardo che si abbassa ma non per timidezza, forse solo per rimandare a domani la festa della vita, che, ce lo ricorda Leopardi nel Sabato del villaggio, “anco tardi a venir, non ti sia grave”.
La bellezza salverà il mondo, è vero, perché è una forma di resistenza. È un grido di battaglia indirizzato direttamente al futuro. E dice: ritornerà la vita dove ora c’è polvere, e i nostri progetti andranno avanti, proprio perché provengono da questa polvere.
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