12 giugno 2020   Articoli

Rilancio, il meridione dimenticato

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

Giuseppe Coco - Professore di economia politica

Da pochi giorni sono disponibili le bozze non ufficiali del cosiddetto Piano Colao, 110 proposte per il rilancio del paese. La prima curiosità del Rapporto è che esso, pur commissionato dal governo, non è mai stato reso pubblico per vie ufficiali, ma solo pubblicato dai giornali in bozze informali. Al di là di questa anomalia, al momento ci sono pochi commenti sul suo contenuto e sempre generici. Di fatto il testo viene alternativamente e da diverse angolature politiche canonizzato come il catalogo definitivo delle ricette per liberare il paese dai vincoli che lo soffocano, catalogato come l’ennesima lista sempre uguale di raccomandazioni di un’autorità (straniera o sovranazionale) o bollato come l’ultimo dei documenti neo-liberisti.

E’ chiaro che l’impostazione del documento non è differente dal tipo di raccomandazioni che viene continuamente rivolto al nostro paese da decenni. Sbloccare gli investimenti in capitale infrastrutturale, alleggerire il carico burocratico e impositivo sulle imprese, aumentare l’investimento in capitale umano e soprattutto in ricerca. Il pregio di questo documento è a mio parere senz’altro nella forma. Le schede con gli interventi hanno una concretezza maggiore delle solite raccomandazioni generiche, anche se ovviamente gli interventi legislativi e la loro attuazione sono tutt’altra cosa. Esiste anche una (delle 6) sezioni dedicata alle famiglie e welfare, che però è dedicata quasi interamente al superamento della disparità di genere. Tema certo rilevante ma tra tanti altri, in un paese che si avvia a vedere una recrudescenza rilevante della diseguaglianza.

Il grande assente è senz’altro il Mezzogiorno. Di fatto Il Piano è redatto senza tenere conto della disparità territoriale al punto che la parola Mezzogiorno compare 3 volte nelle 102 schede nel contesto di interventi generali con un impatto particolare. Certo si può sostenere, e a ragione, che lo sblocco delle infrastrutture strategiche abbia un impatto maggiore sul Mezzogiorno che sul centro nord oppure che l’impatto delle misure per il turismo sia più rilevante nel Mezzogiorno. Tuttavia è difficile pensare di uscire da questa crisi senza una strategia esplicita per il dualismo economico del nostro paese.

Molto interessante però è a mio parere la collocazione dell’attenzione per il Mezzogiorno. La prima volta il Mezzogiorno è menzionato nella scheda su porti e ferrovie che richiede l’aumento dell’intermodalità, di certo una delle priorità riconosciute a parole nella strategia di tutti i governi e che potrebbe avere grossi effetti sugli investimenti anche in connessione con i vantaggi delle ZES.

La seconda citazione nella scheda 97 sulla conciliazione lavoro-genitorialità, quando si fa riferimento al gap di asili pubblici al sud da colmare. Faccio notare che possiamo declinare questa misura sia in termini di politica di welfare per il lavoro femminile, politica demografica per l’incentivo alla genitorialità, ma anche politica di welfare tout court per la eguaglianza di opportunità di bambini da famiglie disagiate. Si tratta di una misura che con certezza aumenta il benessere sociale e nel lungo periodo anche le capacità di crescere del paese.

Infine il Mezzogiorno compare nella penultima scheda dove si propone di assegnare a minori economicamente e socialmente svantaggiati una ‘dote educativa’ e una reale cura da parte di educatori specializzati. A mio parere si tratta di una delle proposte più condivisibile di tutte le 102 del pacchetto che esce dalla logica dell’assistenza con trasferimenti monetari per riaprire il discorso della uguaglianza delle opportunità. Si potrebbe in effetti trattare di una dote da integrare virtualmente nel reddito di cittadinanza per far capire anche ai percettori che i destinatari sono soprattutto i minori.

Insomma il Mezzogiorno è poco presente nel Piano. Ma una volta tanto è presente su interventi di sicuro impatto e non certo assistenziali.

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