12 dicembre 2024   Articoli

Referendum ma adesso a chi serve?

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno Napoli e Campania

Giuseppe Coco - Professore di economia politica

La sentenza della Corte Costituzionale sull’autonomia differenziata, se possibile, è ancora più dura del comunicato di novembre, ed ha praticamente accolto le svariate riserve dei proponenti del ricorso sulla Legge dichiarando incostituzionale le Legge in 14 punti. Nell’ordine essa ha ribadito che si possono devolvere solo funzioni e non materie, che in alcune materie non c’è nessuna devoluzione possibile, che l’intero processo va parlamentarizzato, che la delega sui LEP è carente, che gli eventuali guadagni di efficienza dall’autonomia vanno devoluti alla finanza pubblica. 
Soprattutto però ha affermato un criterio generale per la devoluzione, ovvero che essa deve avvenire solo laddove sia provato che produca effetti positivi per l’intera collettività nazionale, rispondendo a un criterio di corretta assegnazione dei poteri tra livelli di governo. Non per ‘esigenze di riparto di potere all’interno del sistema politico’. Credo che un linguaggio così duro da parte della Corte nel censurare le motivazioni della politica sia davvero inusuale. 
Un aspetto interessante è che nell’affermare che si possono devolvere solo funzioni, la Corte poi richiama la necessità di provare che effettivamente quelle funzioni siano meglio esercitate a livello locale, nelle singole leggi di devoluzione. Questo implica che ogni tentativo di devoluzione di funzioni che la Corte riterrà ingiustificato sulla base del criterio della sussidiarietà, sarà censurato dalla Corte stessa. Inoltre, a scanso di equivoci, vengono indicate le materie pur presenti nell’art. 116, che non possono essere devolute: rapporti con l’estero, grandi infrastrutture energetiche ed ambiente, ad esempio, sono escluse a priori perché in gran parte devolute alla Unione. 


Il criterio di sussidiarietà afferma, in breve, che ogni funzione va assegnata al livello di governo più basso possibile, ove non sussistano esternalità significative tra giurisdizioni. Ovvero se non ci sono motivi di efficienza ed equità (nella forma, ad esempio, di economie di scala nella fornitura oppure superiorità di una fornitura con criteri omogenei). In questi casi le funzioni non possono essere affidate al livello di governo più basso. Moltissime materie su cui è stata chiesta l’autonomia ricadono in una di queste due fattispecie. Il Ministro Calderoli non deve aver letto in passato molto attentamente la nota della Corte, altrimenti non sarebbe stato così ottimista sulla possibilità di procedere nel processo.

A fronte di una vittoria così ampia dell’opinione anti-autonomista però, trapela in alcuni una certa insoddisfazione per le conseguenze della sentenza sul possibile referendum. Appare probabile che il referendum abrogativo sia ormai superfluo. La Corte di Cassazione deve pronunciarsi, e le opinioni dei giuristi sono discordanti, come sempre. 
La domanda che sorge è perché qualcuno dovrebbe essere insoddisfatto di una sentenza che accoglie pressoché interamente le proprie ragioni, a fronte di una prospettiva del referendum a dir poco incerta. Perché, cioè, si dovrebbe voler rischiare la bocciatura nelle urne e la spaccatura territoriale del paese? L’insoddisfazione a mio parere viene anche da ambienti che hanno un interesse a uno scontro e una conta, anche nel caso si perda. La retorica rivendicazionista del sud, anche con alcune (non molte) ragioni, ha guadagnato un terreno impensabile pochi anni fa. La rivendicazione territoriale, che ha riguardato quasi esclusivamente il nord fino a dieci anni fa, con il progredire del regionalismo e la progressiva inevitabile stretta sulle risorse pubbliche si è diffusa, in particolare nelle regioni nelle quali la spesa pubblica è più importante in termini relativi. Per questi ambienti lo scontro è vitale, anche se si perde, perché è una occasione per fidelizzare e radicalizzare un elettorato su un tema rivendicativo specifico, anche a costo di spaccare il paese. Per questo si preferirebbe affrontare una pericolosa prova elettorale, che potrebbe persino finire con una legittimazione popolare dell’autonomia.

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