Stop auto benzina e diesel dal 2035, il cambiamento che non può dimenticare il lavoro
di Angelo Colombini - il Sussidiario
Per chi ha seguito con attenzione il dibattito politico e istituzionale sui provvedimenti di contrasto al cambiamento climatico, la decisione del Parlamento europeo di sospendere dal 2035 la vendita di nuove auto e furgoni a motori termici (benzina, diesel, gpl, anche ibridi) non è una sorpresa. Infatti, nel pacchetto “Fit for 55”, approvato dalla Commissione europea il 14 luglio 2021 e composto da diversi obiettivi, sono previste norme specifiche sulle emissioni di CO2 per autovetture e furgoni, che stabilivano le conclusioni a cui è arrivato il Parlamento europeo lo scorso 8 giugno. Quest’accelerazione era pertanto da considerarsi prevedibile; l’Europa vincola gli Stati membri al conseguimento dei rispettivi obiettivi nazionali più elevati nella riduzione delle emissioni carboniche, a stimolare nel contempo l’innovazione tecnologica nei settori interessati all’evoluzione del sistema e al potenziamento dei programmi di efficienza energetica.
Altri obiettivi strutturali riguarderanno conseguentemente i comparti agricoli e della silvicoltura, dell’edilizia e delle infrastrutture per il trasporto, dell’intero ciclo dell’energia (dalla produzione alla logistica e alla distribuzione); in questi settori le riconversioni dovranno condurre un sistema industriale e commerciale fondato sull’utilizzo delle energie fossili e sulla linearità delle produzioni a un modello di sviluppo economico realizzato sulle energie rinnovabili e sulla circolarità del ciclo produttivo. Ne siamo ormai consapevoli da anni e gli ultimi accadimenti legati agli impatti derivanti dalla pandemia e dall’aggressione russa all’Ucraina ne hanno amplificato la risonanza e le successive accelerazioni.
Una sfida radicale che coinvolgerà complessivamente i sistemi politici, economici e sociali dei Paesi dell’Unione europea e non solo e che dovrà comportare un’attenzione particolare alle modalità di realizzazione dei vari obiettivi del pacchetto climatico. Saranno pertanto in discussione produzioni industriali, modelli organizzativi e formativi consolidati da decenni. La consapevolezza sull’ineluttabilità della strada da percorrere nella lotta al cambiamento climatico porta anche ad altrettanta consapevolezza che la realizzazione degli obiettivi da raggiungere non potrà non avvenire attraverso una gradualità delle decisioni e degli interventi da realizzare. È da tempo individuata nel dibattito politico e tra le parti sociali la via della “giusta transizione” per la gestione di questa fase di trasformazione; questa transizione dovrà considerare il progressivo adeguamento dell’apparato industriale e dei servizi a questo nuovo modello di sviluppo.
Tutto ciò significherà agire sulla sostituzione di intere filiere produttive, individuare nuovi programmi scolastici e formativi per preparare l’ingresso di lavoratori in grado di sostenere questo nuovo apparato produttivo, nuovi modelli organizzativi e soprattutto prevedere forme di aggiornamento e riconversione professionale delle migliaia di lavoratori oggi impegnati nelle attuali organizzazioni produttive. Saranno infatti in discussione decine di migliaia di posti di lavoro e il provvedimento approvato dal Parlamento europeo sul blocco della vendita di auto e furgoni a motori termici ne è il primo banco di prova strutturale. Infatti, l’attuale comparto dell’automotive potrebbe subire un pericoloso ridimensionamento, con la perdita stimata di circa 75 mila posti di lavoro, se non accompagnato da progetti di sostenibilità sociale che consentano di contenere le ricadute e gli impatti occupazionali. A questo dobbiamo aggiungere che l’attuale apparato industriale del Paese, e in generale dell’Unione europea, non è ancora in grado di sostenere un appropriato dispositivo di produzione dei sistemi di accumulo e di infrastrutture per il rifornimento per auto elettriche.
Oggi i primi dieci produttori per batterie sono situati nell’Oriente asiatico (5 sono aziende cinesi, due giapponesi, due della Corea del Sud e una indiana) e, vista l’alta presenza del cobalto nel prodotto finito, c’è da considerare che i primi cinque Paesi estrattori di questo minerale sono la Repubblica Democratica del Congo, la Cina, lo Zambia, la Russia e l’Australia. La necessità pertanto di programmare un impegno europeo per finalizzare investimenti in filiere merceologiche e in nuove tecnologie che riducano drasticamente le possibili “nuove dipendenze”, che rischiano di condizionare pesantemente il futuro dell’economia dell’Ue, diventa una priorità non soltanto di carattere industriale e sociale (lavoro minorile), ma anche di prospettiva geopolitica.
Anche l’apparato infrastrutturale che dovrà supportare la rete di fornitura di energia elettrica per veicoli automobilistici avrà bisogno di investimenti importanti: non sarebbe infatti comprensibile una scelta determinata a favore del trasporto elettrico senza un’adeguata rete di distribuzione, che sostituisca efficacemente l’attuale sistema di rifornimento di carburanti fossili. Quest’ultima considerazione fa emergere ulteriori criticità, derivanti dal programmato superamento dei motori alimentati da idrocarburi: quando avviare i processi di superamento dell’apparato della raffinazione e della logistica petrolifera e del gas per autotrazione e verso quali nuove produzioni indirizzare la politica industriale settoriale. Anche in questo caso il sistema economico e produttivo dovrà essere in grado di assorbire altre migliaia di posti di lavoro.
In questa fase di transizione è stata avviata anche nel nostro Paese, con il sostegno fondamentale di accordi sindacali, la produzione di biocarburanti; una strada che ha permesso di contenere il disagio sociale derivante dai processi di riconversione e di indicare una prospettiva a medio termine per gli attuali apparati produttivi del comparto energetico. A oggi possono essere utilizzati nella miscelazione immediata degli attuali prodotti fossili, contenendo le emissioni carboniche, ma in prospettiva possono rivelarsi di fondamentale interesse finanche per scenari a medio-lungo termine, in particolar modo nei settori in cui il processo di decarbonizzazione si rivela più difficile: trasporto aereo, marittimo e autotrasporto pesante.
La generazione di biocarburanti è attualmente inserita in una filiera di estremo interesse per un’economia industriale integrata sia nelle “fonti di prima generazione”, come il mais e gli oli vegetali, che attraverso “fonti di seconda generazione”, ovvero materie prime non alimentari, dagli oli da cucina di scarto, ai grassi animali, ai residui generati dal disboscamento nella silvicoltura, ai residui agricoli che altrimenti sarebbero inutilizzati e lasciati sui campi.
Altra soluzione fondamentale da supportare con investimenti mirati sarà quella dell’utilizzo dell’idrogeno, a partire dalla generazione verde (da rinnovabili) e nel medio termine anche attraverso l’opzione blu (ottenuto da gas naturale) associata alla realizzazione di impianti per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica.
Abbiamo constatato come un provvedimento, come quello approvato dal Parlamento europeo sulla vendita dei motori termici, possa generare una serie di conseguenze produttive di portata strutturale, che daranno vita successivamente a riflessi economici e sociali significativi e dalla gestione difficile e complessa; la stessa votazione a Strasburgo ha dimostrato com’è precaria la ricerca del consenso e dell’equilibrio fra le varie istanze politiche.
Da tempo la Cisl è impegnata nell’approfondire i temi esposti, indicando la strada per un esercizio responsabile della transizione; il sistema delle relazioni sindacali e i decisori politici e istituzionali dovranno essere in grado di intervenire con gradualità e determinazione nell’individuare le soluzioni che possano rendere compatibile l’ineluttabilità di queste scelte con il contenimento dei costi sociali e produttivi. L’occasione del Pnrr e la via da percorrere per una giusta transizione ribadiscono la centralità di momenti decisionali partecipati e condivisi, che vedano i lavoratori protagonisti attraverso le rappresentanze sindacali.
La strada tracciata non potrà essere affrontata con schemi decisionisti; l’utilizzo di risorse pubbliche importanti dovrà sostenere programmi e idee innovative, ma dovrà essere garantito anche dal necessario consenso di chi tutti i giorni, come i lavoratori, è protagonista di una realtà in radicale cambiamento.
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