07 giugno 2020   Articoli

Il governo sfidi Arcelor Mittal. Taranto ha bisogno di certezze

Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno

Claudio De Vincenti - Economista - Promotore del Manifesto

Taranto: a che punto è la notte? Nel gennaio scorso, scrivendo su queste colonne, parlavo di “una città sospesa tra l’opprimente incertezza del domani e la voglia di costruirlo, il domani”. A schiarire un po' la situazione erano poi intervenute le dichiarazioni del Governo sul “Cantiere Taranto” e a inizio marzo la sigla dell’accordo con Arcelor Mittal (AM) che prevedeva l’impegno a costruire entro novembre una soluzione societaria e industriale definitiva. A tre mesi di distanza, purtroppo gli interrogativi sono ancora tutti sul tavolo, con in più l’ulteriore novità di un piano industriale di AM che prefigura un pesante arretramento produttivo e occupazionale.

Certo, l’emergenza Covid-19 ha contribuito al prolungarsi della situazione di stallo, con i problemi a tratti drammatici che la pandemia ha posto sul versante sanitario, le sue ricadute negative su tutta l’economia italiana, i compiti pressanti che il Governo ha dovuto fronteggiare. Ma sarebbe anche sbagliato non cogliere come quell’emergenza e le sue conseguenze a Taranto si siano sommate alla situazione di grande incertezza che ricordavo all’inizio, accentuandola fino a rendere del tutto indeterminate le prospettive dell’area jonica.

Il “Cantiere”, al di là di due riunioni tenute dal relativo tavolo istituzionale, non ha fatto passi avanti concreti né in termini di stanziamenti aggiuntivi di risorse rispetto al Contratto istituzionale di sviluppo (CIS) già operante dal 2016, né in termini di concreta attuazione se non per quanto già avviato dal CIS: lo stato di avanzamento nell’utilizzo dei fondi messi a disposizione nella passata legislatura è sintetizzato in oltre 300 milioni di spesa erogata, di cui più dell’80% nel biennio 2016-17, e in oltre 500 milioni di lavori avviati, praticamente anche qui tutti nel medesimo biennio. Quanto allora impostato sta andando avanti, specie nelle opere infrastrutturali e negli interventi ambientali, sebbene con minor spinta propulsiva. Il resto fatica a prendere forma, come nel caso degli acquisti di attrezzature sanitarie o degli interventi di carattere urbanistico.

Dopo l’accordo di marzo, la situazione dell’ex Ilva si è trascinata, nel difficile contesto del Covid-19, con successivi “stop and go” dell’attività produttiva e un ampio ricorso alla Cassa integrazione. Il Piano industriale che doveva fare da base per la nuova compagine societaria da costruire intorno ad Arcelor Mittal (AM) si è fatto attendere a lungo e solo venerdì sera la società lo ha presentato: in base alle informazioni disponibili, contiene una pesante revisione al ribasso sia degli obiettivi di produzione sia dei livelli occupazionali a regime e il rinvio dell’investimento sull’altoforno 5. A questo scenario AM aggiunge una singolare richiesta allo Stato di contributi a fondo perduto e di ricapitalizzazione pubblica dell’azienda. Senza neanche chiarire qual è il ruolo dell’ex Ilva, e quindi degli stabilimenti italiani, nel quadro della strategia globale del gruppo.

E’ stata probabilmente un errore la scelta del Governo di collocarsi in una posizione di attesa rispetto alle determinazioni di AM: la società sta utilizzando lo sconvolgimento economico causato dal coronavirus e l’incertezza che ne deriva per rimettere in discussione gli impegni presi. La situazione impone che il Governo, invece di dare per scontato questo esito o di aderire a richieste di fondi senza contropartite, metta in campo un progetto concreto che coinvolga investitori industriali e finanziari e ponga AM di fronte alla scelta se esserne parte o meno. Questo significa che l’esecutivo deve mettere sul tavolo tutti i tasselli necessari a una soluzione imprenditoriale che sia all’altezza dell’enorme sfida che il maggior stabilimento siderurgico d’Europa deve oggi fronteggiare: condizioni di contesto, a cominciare dall’AIA e dal ripristino dello scudo penale; obiettivi industriali e occupazionali; compagine societaria in grado di perseguirli.

E infine, siccome Taranto non può vivere di solo acciaio, è urgente ridare gambe operative al Contratto istituzionale di sviluppo in modo che possa completare in tempi rapidi i tanti interventi avviati e programmarne di nuovi: ricostituire il nucleo tecnico che costituiva il braccio operativo del CIS, fare leva sul ruolo di Invitalia come soggetto attuatore degli interventi programmati, coinvolgere di nuovo le forze economiche e sociali del territorio nelle scelte del tavolo istituzionale.

La notte non è un destino ineluttabile, ma l’alba della ripresa non viene da sola, va costruita attivamente.

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