Ben venga il piano riforme, ma con idee chiare e scelte giuste
Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno
Un richiamo alla responsabilità finanziaria, un insieme qualificato di obiettivi e la consapevolezza della centralità del Mezzogiorno, ma non ancora una vera e propria strategia di politica economica. Il Piano nazionale di riforme (PNR), presentato dal Governo nei giorni scorsi, contiene l’idea giusta di un’Italia partecipe delle nuove priorità di sviluppo europee, ma non chiarisce le scelte difficili che stanno di fronte al nostro Paese se vuole finalmente riattivare il motore della crescita e agganciare il gruppo di testa delle economie UE.
Il richiamo è espresso fin dalle prime pagine del documento: “sebbene le risorse europee che si renderanno disponibili siano imponenti, le compatibilità finanziarie non dovranno essere trascurate”. L’aumento del disavanzo conseguente alle misure di sostegno all’economia in questi mesi di crisi Covid impatta sul nostro già elevato debito pubblico. L’Italia deve quindi dotarsi di un piano di rientro di medio-lungo periodo che assicuri la sostenibilità del suo debito agli occhi dei mercati finanziari, ossia agli occhi di quanti all’interno e all’estero devono scegliere a chi prestare il proprio denaro.
Gli obiettivi su cui impostare una nuova fase di crescita sono ampiamente spiegati nel Piano e si collegano con le priorità che la Commissione Von der Leyen indica all’Europa nel suo insieme. Per limitarmi ai titoli principali, trascurando le molte articolazioni: scienze della vita ed economia verde e digitale, infrastrutture di trasporto ed energetiche che la sostengano, risanamento del territorio e rigenerazione urbana, economia della conoscenza e ruolo del sistema educativo. Da questo punto di vista, e con buona pace dei sovranisti nostrani, le raccomandazioni della Commissione al nostro Paese coincidono esattamente con i nostri interessi nazionali.
Al Mezzogiorno il testo del Governo dedica un’intera sezione, richiamando il Piano per il Sud del febbraio scorso e sgombrando il campo dalle ambiguità create qualche mese fa da un documento interno all’esecutivo che proponeva di ridurre la quota di investimenti da destinare al Sud. Al contrario, il PNR considera la ripresa del Meridione condizione stessa per la ripresa dell’intero Paese, fornisce un quadro dell’utilizzo dei fondi strutturali che mostra un buon grado di avanzamento medio, ma anche programmi operativi che sono ancora in ritardo, e pone il problema di una accelerazione degli investimenti tanto più al fine di utilizzare appieno le nuove risorse del Recovery Fund.
Fin qui alcuni dei meriti del documento governativo. Ciò di cui però si avverte la mancanza è la loro combinazione in una vera e propria strategia, con le scelte conseguenti da proporre al Paese. In più punti, il testo del Governo rinvia a un “Piano di rilancio” di cui il PNR è “il primo passo” e i cui contenuti – “illustrati dal Governo nel corso degli Stati Generali” – “saranno successivamente oggetto di una stesura completa”. A quel punto però le scelte dovranno essere esplicitate, se realmente si è consapevoli dei nodi da sciogliere affinché gli obiettivi indicati e la responsabilità finanziaria dichiarata prendano forma operativa e concreta.
Sul versante macroeconomico, va prima di tutto definito nella sua scansione temporale il percorso di rientro del rapporto debito/Pil che si ritiene necessario a garantire la credibilità dell’Italia sui mercati finanziari. Va poi chiarita la composizione tra le grandi voci di spesa e di entrata in modo da valutarne gli effetti sulla crescita del Pil e stabilire quanto del percorso di rientro potrà essere assicurato dall’aumento del denominatore (il Pil appunto) e quanto resterà in carico alla riduzione del numeratore e quindi al riequilibrio tra spese ed entrate pubbliche.
Ma poi si deve entrare nello specifico dei provvedimenti, consapevoli che è lì che si annidano le scelte più difficili. Mi limito per brevità a due soli esempi. L’introduzione di imposte ambientali e la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi, cui accenna il PNR, vanno calibrate con grande attenzione, prima di tutto per ottenere realmente gli effetti ambientali desiderati e poi per evitare effetti indesiderabili su attività produttive e tenore di vita dei cittadini. Il Mezzogiorno ha bisogno di investimenti e lavoro, non di assistenzialismo: il reddito di cittadinanza, che oggi incentiva il lavoro nero, va riformato facendolo diventare un reddito di inclusione e le risorse addizionali italiane ed europee vanno assegnate agli investimenti.
E’ un lavoro difficile quello che attende il Governo nei prossimi mesi ed è un discorso di verità e responsabilità quello di cui il Paese ha bisogno.
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