Gas e carburanti: bio si può
Diretta con il Vice Ministro Gava e i rappresentanti di Eni, Snam, Utilitalia e Aeroporti di Roma
Lunedì 19 dicembre si è svolto un nuovo webinar di Merita dedicato ai grandi cambiamenti in atto nel settore del gas e dei carburanti. Ne abbiamo parlato con il Vice Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Vannia Gava, e alcuni dei principali protagonisti del settore energetico e trasporti, come i rappresentanti di Eni, Snam, Utilitalia e Aeroporti di Roma.
L’incontro si è svolto in un luogo fortemente simbolico: una delle più innovative bioraffinerie d'Europa, quella Eni di Gela. L’impianto avviato ad agosto 2019 capace di trattare oli vegetali usati, grassi animali e rifiuti per produrre biocarburanti di alta qualità.
Di seguito trovate il programma completo, il nostro position paper e il video dell'appuntamento.
Saluti di apertura:
Claudio De Vincenti, Presidente onorario di Merita
Walter Rizzi, Presidente Raffineria Eni di Gela
Introduzione:
Amedeo Lepore, Università della Campania Luigi Vanvitelli e Socio Merita
Interventi:
Michele Viglianisi, Responsabile Biorefining and Supply, Eni
Giuseppe Ricci, Direttore generale Energy Evolution di Eni e Presidente Confindustria Energia
Stefano Venier, Amministratore Delegato SNAM
Filippo Brandolini, Vice Presidente Utilitalia e Presidente Hera Ambiente
Marco Troncone, Amministratore Delegato Aeroporti di Roma
Conclusioni:
Vannia Gava, Vice MInistro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica
Coordina:
Romina Maurizi, Direttrice Quotidiano Energia
Position Paper
Gas e carburanti: bio si può
Nuova frontiera per l’industria del Sud
(19 dicembre 2022)
Premessa
La bioeconomia circolare è la nuova frontiera di una moderna strategia di sviluppo e si connette direttamente alle due “transizioni gemelle” in corso: ecologica e digitale. Secondo la Ellen MacArthur Foundation: “L’economia lineare deve cambiare. Dobbiamo trasformare tutti gli elementi del sistema prendi-produci-getta: dal modo in cui gestiamo le risorse, produciamo e utilizziamo i beni a cosa ne facciamo in seguito dei materiali. Solo così potremo creare un’economia prospera a vantaggio di tutti all’interno del nostro pianeta”. Perciò, va costruito un nuovo paradigma di crescita, che si fondi su un concetto di bioeconomia capace di contemperare le trasformazioni straordinarie introdotte dall’industria 4.0 e dall’innovazione digitale con l’evoluzione di un’economia verde e la riduzione strutturale dell’impatto della produzione sull’habitat. Il punto di incontro tra le due transizioni è costituito da un impiego sapiente delle tecnologie abilitanti e da un processo innovativo che si autoriproduce senza sosta, inserendo varianti inedite nel percorso di mutamento del modello economico preesistente. Oggi si può consolidare la svolta rappresentata dalla concezione di una bioeconomia circolare che riesca ad assicurare non semplicemente maggiore compatibilità ambientale, evitando ogni tentazione di decrescita infelice, ma favorisca l’avvicinarsi di uno scenario industriale sostenibile e competitivo.
Dopo la grande crisi del 2007-2014, eventi imprevedibili ed esogeni come la pandemia e la guerra hanno causato effetti strutturali di enorme portata, facendo riemergere un’incertezza di fondo sulle possibilità di crescita globale e sul futuro del pianeta. Il panorama attuale rivela il tratto contrastante di una congiuntura storica in bilico tra carenza di approvvigionamenti energetici (questa volta, soprattutto di gas), inflazione da offerta (in Europa), da un lato, e possibilità concrete di cogliere gli elementi positivi scaturiti dal progresso scientifico e tecnologico, dall’altro. La direzione che prenderanno l’economia e la società prossime venture dipende esattamente dalla soluzione di questo difficile intreccio e dalla capacità di coniugare le scelte di politica industriale con una innovazione di sistema.
Del resto, la produzione mondiale di energie rinnovabili, in base all’ultimo report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), dovrebbe aumentare di 2.400 Gigawatt tra il 2022 e il 2027, proprio perché la crisi energetica e la spirale inflazionistica, oltre che la necessità impellente di diversificare gli approvvigionamenti per gli effetti dell’invasione russa in Ucraina, hanno accelerato la transizione. Sempre l’AIE, in questi giorni, ha rilevato che, nonostante le misure finora adottate dall’Unione Europea e una certa ripresa della produzione nucleare e idroelettrica, il potenziale divario tra domanda e offerta di gas a livello continentale potrebbe raggiungere i 27 miliardi di metri cubi nel 2023. In questo quadro, il nostro Paese ha fatto notevoli progressi, ma deve implementare in maniera strutturale le tre direttrici fondamentali del REPowerEU, rinsaldando la crescita delle fonti rinnovabili, estendendo la diversificazione delle fonti tradizionali e impiegando tecnologie in grado di migliorare l’efficienza energetica.
L’impegno dell’Italia per attuare gli obiettivi del PNRR e, in particolare, le componenti legate alla missione 2 sulla rivoluzione verde e la transizione ecologica, è la leva fondamentale per uscire dal bivio tra crisi energetica e progresso tecnologico e incamminarsi lungo la strada della modernizzazione e della ripresa, oltre a concorrere alla creazione di nuova occupazione in tutti i settori toccati dal Green Deal europeo, tra cui quelli delle energie rinnovabili, delle reti di trasmissione e distribuzione, della filiera dell’idrogeno. Infatti, non si tratta solo di spendere per tempo e bene i quasi 60 miliardi disponibili per questo scopo, ma anche di introdurre, a livello nazionale e territoriale, riforme orizzontali e semplificazioni per il superamento dei principali ostacoli normativi, regolamentari e procedurali, che rischiano di affogare il sistema negli antichi intrichi burocratici e di appannare lo slancio di una nuova economia. A questo proposito, appare essenziale la realizzazione delle riforme relative alla semplificazione delle procedure autorizzative per gli impianti rinnovabili onshore e offshore, alla nuova normativa per la promozione della produzione e del consumo di gas rinnovabile e alla semplificazione normativa/amministrativa per la diffusione dell’idrogeno, nonché alla promozione della competitività dell’idrogeno.
Nel complesso delle misure dedicate alla transizione energetica, vanno sottolineati, ad esempio, oltre ai 5,9 miliardi riservati all’incremento della quota di energia da fonti rinnovabili, gli interventi dell’investimento 1.4 per lo sviluppo del biometano (1,7 miliardi), ottenuto attraverso il recupero dei residui organici, come obiettivo strategico per il potenziamento dell’economia circolare e per il conseguimento dei target di decarbonizzazione europei, che prevedono: la riconversione e il miglioramento dell’efficienza degli impianti di biogas agricoli esistenti per l’impiego del biometano per riscaldamento e rinfrescamento, oltre che per i trasporti; la costruzione di nuovi impianti per la produzione di biometano con le stesse destinazioni precedenti; la diffusione di pratiche ecologiche nella produzione del biogas per ridurre l’uso di fertilizzanti sintetici a favore della materia organica; la sostituzione di veicoli obsoleti con altri alimentati a metano/biometano. O anche gli interventi dell’investimento 3.2 per le Green communities, che include la produzione di energia da fonti rinnovabili locali, tra cui il biogas, la cogenerazione e il biometano. O ancora gli interventi per la sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto stradale e ferroviario e per la ricerca e lo sviluppo sull’idrogeno.
A sua volta, il Fondo di Sviluppo e Coesione 2021-2027, se rapidamente finanziato per intero e non solo per parti, può contribuire a una prospettiva più confortante in campo energetico, in rapporto integrativo e di completamento degli interventi stabiliti con il PNRR. Nell’area tematica dedicata all’energia, sono indicate strategie volte a intensificare la produzione nazionale (oltre a diversificare gli approvvigionamenti dall’estero), garantendo così la sicurezza energetica del Paese, attraverso in particolare l’ampliamento della dotazione di energie rinnovabili e di quelle a minor impatto di origine naturale, con particolare attenzione alle regioni meridionali.
Biogas e biocarburanti nel processo di decarbonizzazione
Gas e carburanti bio sono un asset cruciale per una transizione energetica da svolgere su basi concrete e si prestano compiutamente a fornire un impulso decisivo alla riorganizzazione, rilancio e ulteriore radicamento dell’industria nel Sud.
I biocarburanti, a differenza dei carburanti tradizionali che derivano da fonti fossili, sono ottenuti a partire da biomasse (ovvero dagli scarti industriali e domestici e dai residui dell’attività agricola e forestale) e hanno il vantaggio di provenire da materie prime rinnovabili e diffuse ovunque. Sono classificati in base alle tipologie dei biocarburanti di prima generazione (generati da materie prime agricole) e dei biocarburanti avanzati (originati da biomasse non utilizzabili per l’alimentazione). La produzione mondiale di biocarburanti era di circa 160 miliardi di litri prima della pandemia. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, tra il 2021 e il 2026 la domanda globale di biocombustibili dovrebbe aumentare di 41 miliardi di litri (+28%). Inoltre, sempre secondo l’AIE, la produzione di biocarburanti da rifiuti, residui e colture dedicate non in conflitto con la catena alimentare, rappresenterà circa il 50% dei biocarburanti consumati nel 2030, rispetto a una stima dell’8% nel 2021.
Il biogas è una fonte di energia rinnovabile, costituito essenzialmente da metano e anidride carbonica, viene ricavato dalla fermentazione anaerobica (in assenza di ossigeno e a temperatura controllata) di sostanze di origine organica, come residui agricoli, reflui zootecnici o fognari, colture di integrazione, rifiuti urbani. Il biometano è un suo derivato, che è stato sottoposto a un processo di raffinazione e purificazione (deidratazione, desolforazione, rimozione di ammoniaca gassosa, NH3, mercaptani, polveri) e upgrading (rimozione dell’anidride carbonica, CO2), fino a raggiungere la qualità del gas naturale. Per tale motivo il biometano può essere immesso nella rete del gas, dopo un’opportuna compressione e odorizzazione: in Europa mediamente il 10% di biogas viene
convertito in biometano. Il biogas è considerato dalle istituzioni internazionali come una delle principali risorse capaci di assicurare l’autonomia energetica e la diminuzione graduale dello stato di inquinamento dell’aria e dell’effetto serra. L’industria del biogas, dunque, ha un ruolo essenziale nella transizione energetica, nel processo verso la decarbonizzazione e nella green and circular economy. Il biodigestore è il dispositivo o l’impianto di riciclaggio che decompone i rifiuti organici mediante batteri anaerobi, producendo biogas. Secondo l’AIE, il biogas è una risorsa sottoutilizzata: se, infatti, la sua produzione mondiale è stata di circa 35 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio nel 2018, si stima un potenziale di produzione per la sola Europa di più di 100 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. In generale, la produzione di biogas a livello mondiale ammonta a 40 miliardi di metri cubi: Europa, Cina e Stati Uniti realizzano circa il 90% di tale prodotto.
La filiera italiana del biogas, grazie alla sinergia tra agricoltura e allevamento, da un canto, e agroindustria, dall’altro, ha effettuato dal 2008 in poi (Fonti: Consorzio italiano biogas e Coldiretti) investimenti per circa 4,5 miliardi di euro, permettendo all’Italia di essere il secondo produttore europeo in tale settore, con 2000 impianti circa, e di collocarsi al quarto posto nel mondo, dopo Germania, Cina e Stati Uniti. Gli impianti nazionali di biogas nel 2020 producevano 1,7 miliardi di metri cubi di biometano, con l’impiego di circa 12 mila posti di lavoro. Dopo questa messe di investimenti, il 15% dei reflui zootecnici è trasformato in biogas. Entro il 2030, poi, si potrebbe arrivare a una percentuale del 65%, con una produzione di biometano in forte crescita, passando dai 1,7 miliardi indicati a ben 6,5 miliardi di metri cubi. Per quanto concerne le emissioni, si potrebbe ottenere un duplice risultato: con la riduzione delle emissioni dell’agricoltura di 12,4 milioni di tonnellate di CO2 al 2030 (-32%), cui si aggiungerebbero circa 19 milioni di minori emissioni per la diminuzione dell’uso di fonti energetiche fossili. Un taglio totale di oltre 31 milioni di tonnellate, pari a quelle causate dall’impatto di 18,5 milioni di automobili. Questi esiti sono stati evidenziati nel progetto “Farming for future”, messo a punto dal Consorzio Italiano Biogas in riferimento agli obiettivi della UE tratteggiati nel Green Deal.
Infine, il biodiesel, scoperto nel 1937, è ricavato dall’esterificazione di olio vegetale con alcol, miscelato da tempo nei diesel fossili in tutta Europa. In passato, è stato annoverato tra le energie rinnovabili che partecipano al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni, ma una nuova regolamentazione della UE, operativa in Italia dalla fine del 2021, prevede che le materie prime utilizzate per questa produzione abbiano origini sostenibili certificate e che, nel caso siano utilizzati oli in competizione con l’alimentazione umana, si possa rientrare solo entro certi limiti nella tipologia delle energie rinnovabili.
Nell’Unione Europea è in corso da ormai un ventennio una rilevante modifica della struttura del mix energetico. Il petrolio, nonostante un calo della sua quota in due decenni del 6% (dal 38,7% al 32,7%), è ancora in una posizione dominante, ma stanno avanzando decisamente rinnovabili e biocarburanti. La quota del gas è cresciuta dal 20,6% al 24,4%, mentre rinnovabili e biocarburanti hanno compiuto un balzo dell’11%, passando dal 6,4% al 17,9%. Secondo SRM, “i biocombustibili svolgono attualmente un ruolo fondamentale nella decarbonizzazione del settore dei trasporti dell’UE, rappresentando l’83% del totale dei combustibili rinnovabili utilizzati nel 2020”. I Paesi mediterranei della UE hanno impiegato circa 6.300 ktep di biocombustibili nel 2020, pari al 38,8% del totale consumato a livello europeo: Francia, Spagna e Italia coprono quasi il 90% di tale quota. Secondo GSE, infine, nel settore dei trasporti italiano nel 2020 sono state immesse in consumo 1,5 milioni di tonnellate di biocarburanti totali (+2,3% rispetto all’anno precedente); il relativo contenuto energetico ammonta a circa 1,35 Mtep. Il 93,8% dei biocarburanti (in quantità) è costituito da biodiesel; più contenuta, invece, l’incidenza del bio–ETBE (1,5%) e, nonostante la notevole crescita rispetto al 2019 (+ 101%), del biometano (4,7%).
All’interno del fenomeno di innalzamento vorticoso dei costi energetici e della relativa impennata inflazionistica, le regioni meridionali risultano le più colpite, sia sul versante della domanda che su quello dell’offerta, per la maggiore debolezza strutturale del loro tessuto produttivo, la diffusa presenza di imprese di piccole dimensioni e i costi logistici e di trasporto superiori alla media. Le percentuali di gas ed energia elettrica impiegati nell’industria del Mezzogiorno (Figura 1) sono condizionate dall’apporto di combustibili solidi (9,5%) e petrolio (15,7%), che vengono utilizzati maggiormente come input nei processi produttivi di base, che sono più diffusi nel Sud.
Figura 1. Mix energetico dell’industria in Italia. Anno 2019 |
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Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ENEA. |
Ulteriori aspetti di interesse per la situazione dell’Italia e del Mezzogiorno, che mettono in evidenza la produzione energetica nel settore industriale e la produzione da fonti rinnovabili, comprese le bioenergie, sono riportati nelle seguenti grafici.
Figura 2. Produzione da fonti rinnovabili. Anno 2021 |
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Fonte: Terna, Driving Energy |
Figura 3. Produzione lorda vs emissione CO2 per combustibile |
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Fonte: Terna, Driving Energy |
Esperienze di avanguardia nel Mezzogiorno
L’obiettivo della decarbonizzazione non è affatto semplice da perseguire. Tuttavia, per accelerare l’attuazione degli obiettivi del Green Deal europeo e degli altri interventi per affrontare la transizione ambientale e climatica, occorre puntare su una serie articolata di politiche dotate di indicazioni concrete, per le quali assume notevole significato il ruolo dei biocarburanti. Questa nuova fonte energetica, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), fornisce “una soluzione a basse emissioni di carbonio per le tecnologie esistenti: dai veicoli leggeri agli autocarri pesanti fino al settore aeronautico, dove rappresenta una delle opzioni più importanti per raggiungere il net zero”. La traiettoria industriale e di consumo relativa ai biocarburanti, dunque, è destinata a crescere in modo molto significativo nel prossimo futuro. In questo contesto, il Mezzogiorno si presta per le sue caratteristiche ambientali e i suoi vuoti produttivi, per la sua disponibilità di impianti e aree dismesse, per la sua collocazione al centro del Mediterraneo e all’incrocio delle connessioni tra l’Europa e l’Oriente, oltre che per molte altre ragioni di natura economica e geopolitica, a un’innovazione di fondamentale importanza, che fondi il nuovo paradigma energetico su una transizione in grado di raggiungere davvero i suoi obiettivi.
Perciò, nel campo della bioenergia, vale la pena di passare da una visione di carattere generale a una descrizione sintetica di alcuni esempi tangibili di best practices nell’attuazione di strategie innovative dell’economia circolare, come quelle per il biogas e i biocarburanti. Infatti, per una produzione di biocombustibili economicamente sostenibile è necessaria, partendo da esperienze avanzate in grado di orientare il mercato, la costruzione di filiere su vasta scala.
In questo quadro, le bioraffinerie rivestono un ruolo centrale. L’ENI sta sviluppando le due esperienze di Venezia/Porto Marghera e Gela, dove ha convertito raffinerie tradizionali alla lavorazione di materie prime di origine biologica, prevedendo un utilizzo sempre maggiore di cariche waste and residues. Inoltre, ha dato inizio a uno studio di fattibilità per una terza bioraffineria all’interno della zona industriale di Livorno. ENI punta a raddoppiare la capacità delle proprie bioraffinerie entro il 2025, fino a raggiungere 2 milioni di tonnellate di produzione. Mentre, mira ad accrescere la sua capacità di bioraffinazione fino raggiungere il target dei 6Mt/y nei prossimi dieci anni.
La bioraffineria di Gela, in attività dal 2019, è il frutto di un progetto che ha permesso la realizzazione del più innovativo impianto europeo per la produzione di biocarburanti di alta qualità, con una capacità di lavorazione di 750.000 tonnellate annue e la possibilità di trattamento industriale di quantità sempre più consistenti di oli vegetali usati e di frittura, grassi animali, alghe e scarti/residui. La spesa totale per l’intervento di conversione del vecchio petrolchimico in bioraffineria è stata di oltre 360 milioni di euro. Il nuovo impianto è uno dei pochi al mondo a elevata flessibilità operativa. La sua caratteristica di processare materie prime di seconda generazione – cosiddette “unconventional”, che derivano da scarti della produzione alimentare – ha consentito di ottenere un impianto innovativo di notevole sostenibilità ambientale. Oltre alla bioraffineria, nel sito industriale è collocato l’impianto pilota Waste to Fuel, la trasformazione di rifiuti organici in bio-olio e biometano ed è stato avviato e collaudato il nuovo impianto per il trattamento di biomasse Btu (Biomass Treatment Unit), che permette alla bioraffineria di utilizzare fino al 100% di materie prime di scarto per la produzione di biocarburanti (biodiesel, bionafta, biogpl e bio-jet). Infine, il nuovo progetto per la costruzione di un ulteriore modulo produttivo nella bioraffineria di Gela, che prevede un investimento di circa 70 milioni, è dedicato alla produzione di biofuel (carburanti sostenibili “SAF”) per l’aviazione, ricavati da materie prime (oli usati e altri scarti) non in competizione con la catena alimentare.
Quello dei SAF è uno degli utilizzi dei biocarburanti in prospettiva più interessanti, consentendo di intraprendere un percorso di riduzione delle emissioni di gas serra proprio in uno dei settori tipicamente hard-to-abate. Una evoluzione che di recente ha cominciato a concretizzarsi nell’avvio da parte di Aeroporti di Roma della miscelazione dei carburanti tradizionali con i SAF in percentuali prospetticamente crescenti presso il Leonardo da Vinci di Fiumicino (primo aeroporto italiano a procedere in questa direzione).
Come l’ENI, anche SNAM ed HERA rappresentano grandi realtà di una dinamica positiva del cambiamento in atto spinto dall’economia circolare. Il Gruppo HERA – che è il primo operatore italiano nel settore ambientale per rifiuti trattati e tra i primi in assoluto in diverse altre attività - è membro della Fondazione Ellen MacArthur, che coinvolge le principali aziende capaci di distinguersi per l’impegno nella transizione verso questo tipo di economia. Sul versante dell’ambiente, vengono attuati interventi che riguardano: nuove soluzioni di recupero dagli scarti e rifiuti per la produzione di biocarburanti o biometano; nuovi materiali plastici riciclati, derivati per esempio dal riciclo molecolare; nuove opzioni di riciclo e coinvolgimento dei cittadini per migliorare la qualità del rifiuto differenziato. HERA, infine, rigenera le risorse e “chiude il cerchio” attraverso iniziative e progetti in tre ambiti: transizione verso un’economia circolare, gestione sostenibile della risorsa idrica, tutela dell’aria, del suolo e della biodiversità.
La SNAM dà impulso alla transizione energetica nei territori in cui opera, promuovendo progetti integrati per i gas verdi (biometano e idrogeno) e per l’efficienza energetica. L’azienda sviluppa il comparto del biometano attraverso Snam4Environment (che ha recentemente cambiato nome in Bioenerys), specializzata nella realizzazione e gestione di impianti e nella diffusione di iniziative di economia circolare per la valorizzazione energetica della frazione organica dei rifiuti e degli scarti agricoli, e attraverso Snam4Mobility, dedicata a consolidare la rete di distribuzione di CNG/LNG e Bio-CNG/LNG (gas naturale e biometano compresso e liquefatto) per decarbonizzare i trasporti. La SNAM mira a sviluppare l’idrogeno come vettore energetico sostenibile, adeguando le proprie infrastrutture per renderne possibile il trasporto e lo stoccaggio, incoraggiandone l’impiego nella mobilità sostenibile (trasporti pesanti e treni) e in applicazioni industriali, investendo in tecnologie di elettrolisi. Data la finalità precipua di una crescita del settore del biometano e della sua catena del valore, la SNAM sta sviluppando un portafoglio diversificato di assets, sia investendo e acquisendo impianti di biogas e biometano già esistenti che avviando nuovi progetti di tipo greenfield. Tra questi ultimi, il progetto Enersi Sicilia che riguarda un impianto innovativo di Caltanisetta (in località Grottarossa), destinato al trattamento del rifiuto organico da FORSU per la produzione di biometano per autotrazione e compost di qualità. Il biometano prodotto viene immesso in rete come fonte di energia rinnovabile; il compost è utilizzato come ammendante compostato misto in sostituzione dei fertilizzanti chimici. Nonché l’impianto costruito da IES Biogas ad Assoro, in provincia di Enna, che costituisce uno dei primi progetti di produzione, compressione e distribuzione di biometano in Italia, a partire da matrici agricole e zootecniche e da sottoprodotti agroindustriali (tra cui anche scarti della lavorazione delle arance, sanse di oliva e pollina).
Tutti questi esempi di riconversione produttiva e innovazione circolare rappresentano non solo una concreta occasione per migliorare da un punto di vista economico sociale aree in condizioni di arretratezza e per raggiungere traguardi di avanzata sostenibilità in zone di forte degrado ambientale, ma sono un modello su cui fondare un rilancio complessivo dell’industria meridionale e italiana in stretta connessione con il paradigma dell’economia circolare, stimolando il protagonismo delle imprese e dando impulso all’ampia diffusione di filiere integrate in grado di contribuire al completamento del processo di transizione energetica del Paese.
La condizione attuale richiede un rilancio delle politiche energetiche europee e nazionali, per fronteggiare con strumenti adeguati la crisi, che incide particolarmente sul nostro continente, accelerando la diversificazione delle fonti energetiche e puntando su quelle in grado di ridurre gli impatti ambientali e di proseguire in una più sicura transizione. Ma è anche indispensabile procedere verso una più celere conversione delle strutture produttive e una politica industriale comune a livello europeo, compiendo decisi passi in avanti verso nuove strategie produttive che, partendo dalle aree maggiormente investite dalla crisi e in condizioni di storica arretratezza, come il Mezzogiorno d’Italia, ricompongano una capacità di crescita unitaria, forte e competitiva dell’Europa.
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