02 gennaio 2021   Articoli

Manca un progetto per il Sud

Marco D'Isanto - Corriere del Mezzogiorno

Marco D'Isanto - Dottore Commercialista, Consulente alle imprese e agli enti non profit, Napoli

Nel 1875 Pasquale Villari pubblica le Lettere meridionali che segnano l’inizio di una riflessione critica sul divario economico e sociale tra il Nord e il Sud dell’Italia post-unitaria alla quale si unirono nel corso dei decenni successivi tra le migliori menti del paese. Nel frattempo sono trascorsi quasi 150 anni senza che la questione meridionale possa considerarsi risolta, tutt’altro. La frase contenuta nella prefazione delle Lettere, in cui lo studioso liberale di origini e formazione napoletana ma esule a Firenze dichiara di essersi convinto che il paese aveva pensato meno a coloro cui dovevamo pensare di più ha ancora una tragica attualità.

Il tratto più drammatico è che alla mancata risoluzione del principale problema post-unitario dell’Italia si è accompagnato negli ultimi anni la scomparsa della questione meridionale dal discorso pubblico e storico-politico di questo paese. 

Il dibattito meridionalista in particolare negli anni 50, riprendendo le idee sviluppate da Nitti, pose al centro delle proprie elaborazioni la necessità di avviare un processo di industrializzazione come leva della modernizzazione del Mezzogiorno e con esso dell’intero paese.

Sull’onda di questo nuovo paradigma le politiche pubbliche adottate con l’istituzione della Cassa del Mezzogiorno produssero effetti rilevanti sull’economia meridionale. Si trattava chiaramente di un intervento che si inserì nell’ambito di un ciclo economico capitalistico di espansione e che concorse alla realizzazione del miracolo economico italiano.

Esso rappresentò il superamento di politiche di sostegno alla domanda o di interventi parziali come furono le leggi speciali promosse da Nitti per l’industrializzazione del Sud.

Quel processo fu in grado anche di innovare la struttura sociale del Mezzogiorno e di lasciarsi alle spalle alcuni teoremi che scarso successo avevano avuto, da quelli rivoluzionari di Gramsci e Salvemini a quelli di costruzione di nuove classi dirigenti meridionali che Guido Dorso teorizzò.

Fu un esperimento in cui l’accumulazione capitalistica fu spinta dall’intervento statale ma il cui esito nel lungo termine è stato in buona parte spazzato via dalla crisi economica e politica che ha investito l’Italia.

Chiusa questa stagione sembra che questo tema debba essere semplicemente abbandonato. Prova è il fatto che sia nel piano del governo del Recovery Found sia nel piano per il Sud elaborato dal Ministero del Mezzogiorno non c’è alcun solido progetto di industrializzazione e di sviluppo del Mezzogiorno.

E’ possibile invece rintracciare un impegno a modernizzare e a realizzare alcune infrastrutture che nella migliore delle ipotesi, seppure si realizzassero senza finire affogate in sperperi e clientele, avrebbero un effetto a breve termine incapace di invertire la rotta del progressivo e sembra inesorabile impoverimento economico, sociale e demografico del Mezzogiorno.

Allo stesso modo gli interventi a pioggia relativi alla fiscalità di vantaggio e alla riduzione dei contributi a carico delle imprese rappresentano strumenti parziali e spesso inefficaci.

Manca del tutto un progetto di sviluppo che non può essere certo confinato nel pur indispensabile rilancio degli investimenti pubblici o di alleggerimento della fiscalità.

Possiamo immaginare la crescita di un territorio come il Mezzogiorno senza affidare a questa area del paese la possibilità di consolidare una vocazione produttiva che concorra a rafforzare la struttura industriale del paese?

Non si tratta certo di costruire impianti siderurgici o di favorire l’insediamento di apparati industriali che alla prima crisi levano le tende gettando nello sconforto gli operai e le piccole imprese dell’indotto. Si tratta invece di intercettare quel capitale che il Mezzogiorno possiede, e in particolare due città come Bari e Napoli, e di mobilitarlo fornendogli una prospettiva solida. Lo abbiamo già scritto che l’industria culturale avrebbe nel Mezzogiorno un luogo ideale dove poter prosperare. Abbiamo invocato la realizzazione di poli dell’innovazione e della creatività costituiti da incubatori d’imprese culturali accompagnati da politiche di investimenti per delineare la nascita di una industria creativa nel settore del cinema, del multimedia, della musica, del design, dell’advertising e dei contenuti e delle tecnologie applicate ai beni culturali. Si tratta di ambiti in grado di delineare la frontiera di uno sviluppo industriale moderno e nei quali il Sud ha dimostrato una notevole vivacità. La rigenerazione urbana delle grandi periferie delle città meridionali secondo progetti di sostenibilità potrebbe favorire l’innovazione del settore edile così come la costruzione di una grande piattaforma energetica. Occorre infine un robusto piano di rafforzamento e di modernizzazione della pubblica amministrazione e della scuola. Creatività, rigenerazione urbana e green economy sono tre assi sui quali poter costruire un progetto di industrializzazione del Sud. Il Mezzogiorno possiede le risorse, i talenti e le capacità per impegnarsi in un progetto di questo tipo. Bisogna avere il coraggio, la visione e la forza per portarlo avanti attingendo alla sapienza millenaria di cui il Sud continua a essere custode.

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