15 luglio 2020   Articoli

Più investimenti al Sud: l'occasione da cogliere e gli errori da evitare

Vito Grassi - Il Sole 24 Ore

Vito Grassi - Presidente del Consiglio delle rappresentanze regionali di Confindustria

Il Covid ha bloccato iI Paese e anche la politica economica su misure concentrate tutte sull'emergenza. Gli investimenti pubblici sono tuttora fermi alle previsioni a  legislazione vigente del DEF 2020, in attesa di una positiva chiusura dei negoziato sul Bilancio Ue e sul Next Generation Europe. 

Se ne venissero confermate le favorevoli premesse per l'italia.si renderebbe disponibile per i nostri investimenti un volume di risorse senza precedenti. Il loro efficace e tempestivo impiego potrebbe comportare una crescita degli investimenti pubblici che, già nel 2021, potrebbe raggiungere la soglia del 3% del PIL (secondo le bozze del PNR) e stabilizzarsi sopra questo valore anche negli anni successivi. Ma va subito detto che il 3% del PIL, tenuto conto della sua drastica caduta quest'anno e della sua contenuta risalita nel prossimo, assicurerebbe una straordinaria crescita degli investimenti pubblici, ma non sarebbe sufficiente per rilanciare con decisione l'economia del Paese. 

A ciò si aggiunge la forte preoccupazione per la ridotta capacità di impiego delle risorse, dimostrata da anni di declino degli investimenti pubblici e in misura ancor più evidente di quelli per la politica di coesione, come confermano gli ultimi dati prima del lockdown: su 76 miliardi di interventi cofinanziati dall'UE (Fondi SIE) nel periodo 2014-2020 risultano spesi 26,5 miliardi (3S%); su 49 miliardi programmati sul Fondo sviluppo e coesione (FSC), risultano spesi appena 2 miliardi di euro (4,1%). Gli effetti sono purtroppo evidenti: secondo Eurostat. il PIL in euro per abitante nel decennio 2009-2018 è aumentato del 10,2% in Italia, contro il 32,6% della Germania e a una media UE del 25,8%.

Nell'ultimo decennio abbiamo vissuto una specie di "asfissia economica" di cui siamo noi stessi responsabili, nella quale il peggioramento del ritardo del Mezzogiorno rischia ora di coinvolgere anche altre regioni. Oggi possiamo però cogliere un'occasione irripetibile per un'efficace strategia di rilancio, con interventi urgenti a breve, coerenti con riforme e programmi di investimento a medio e lungo termine, ponendo al centro la politica di coesione territoriale e di sviluppo del Mezzogiorno. 

Dobbiamo però essere realisti e conseguenti almeno su due questioni. La prima è l'abbandono di una "difesa a oltranza" di allocazioni regionali e settoriali delle risorse per il Sud, che finora è riuscita più ad aumentare i divari territoriali che a ridurli. La riprogrammazione dei Fondi SIE e del FSC del DL Rilancio ha evitato che venissero dirottate risorse al Nord, come avvenuto dopo la crisi del 2008, ma dobbiamo fare di tutto perché siano spesi più velocemente e meglio "nel Sud". La soluzione potrebbe essere quella di una complessiva e flessibile programmazione multi-livello Stato-Regioni, in cui il mancato o più lento impiego di risorse sia rapidamente riallocato su interventi in grado di avanzare con più velocità ed efficacia. Un passaggio che potrebbe verificarsi sia tra Regioni sia tra Regioni e Stato, per garantire a chi cede risorse di recuperarle quando sarà pronto ad utilizzarle, ristabilendo così l'equilibrio allocativo, o ricorrendo anche a procedure sostitutive, per garantire la chiusura dei divari. Ma vanno assolutamente contrastate l'inerzia e, al contempo, la frammentazione della spesa e gli sprechi, spesso strumentali solo ad una rendicontazione di impieghi privi di addizionalita ed efficacia. 

Una seconda questione riguarda l'attrazione degli investimenti privati e la crescita dell'occupazione, per le quali vengono spesso evocate "scorciatoie" come "fiscalità di vantaggio" o riduzioni del costo del lavoro, per compensare i maggiori costi localizzativi delle condizioni di contesto. Nella migliore delle ipotesi, a parte eventuali criticità concorrenziali nel mercato interno, sarebbero misure transitorie che renderebbe meno impegnativa l'esigenza di ridurre il gap infrastrutturale. di servizi, di efficienza della PA, di sicurezza, di legalità e di equità sociale. 

Anche per il Mezzogiorno, come per tutto il Paese, la sfida deve essere dì investire di più in qualità, innovazione e capitale umano.Sostenibilità, digitalizzazione e resilienza - finalità strutturali di lungo periodo indicate dall'UE, con un cospicuo impegno finanziario diretto - richiedono alle imprese cambiamenti profondi ed un'efficace politica di coesione deve saper sostenere i necessari processi di trasformazione e di cambiamento delle regioni più in ritardo, come di quelle più sviluppate e di quelle che si trovano in una delicata transizione. Per un pieno, efficace e tempestivo impiego di risorse così ingenti, il Paese deve assumersi sin d'ora un'enorme responsabilità: garantire sviluppo e coesione, nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord. Saranno determinanti capacità, competenza, progettualità e visione di tutte le classi dirigenti, nessuna esclusa: politica, amministrativa, imprenditoriale, sindacale e sociale. Ma bisogna fare presto, e bene.

 

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