06 dicembre 2024   Articoli

Un incentivo da (non) rimpiangere

Emanuele Imperiali - Corriere del Mezzogiorno Napoli e Campania

Emanuele Imperiali - Giornalista - Corriere del Mezzogiorno
Il mancato rinnovo, nella manovra 2025, della decontribuzione Sud, che scadrà a dicembre, era atteso e, sotto certi profili, non è affatto una cattiva notizia per il Mezzogiorno. La misura era stata pensata come una agevolazione non selettiva, per ridurre il costo del lavoro nelle regioni meridionali, con l’obiettivo di renderlo competitivo con le regioni del Centro Nord, dove la produttività è più elevata. Attualmente l’aliquota era diminuita al 30%, ma l’Unione Europea in più di un’occasione aveva ribadito che si tratta di una palese violazione strutturale delle regole sulla concorrenza. In fondo, lo stesso avvenne con la fiscalizzazione integrale o quasi degli oneri sociali che la Commissione di Bruxelles impose all’Italia di cancellare, in base all’accordo Van Miert -Pagliarini nel 1994. Peraltro, ormai la decontribuzione è nei fatti sostituita dai bonus giovani e donne nella Zona Economica Speciale Unica, che comprende l’intero territorio meridionale. Per la decontribuzione Sud erano stati stanziati circa 10 miliardi nell’ultimo triennio, riguardando un bacino di lavoratori superiore a 2 milioni. La sua eliminazione, secondo la Svimez, comporterebbe una riduzione dello 0,2% del pil meridionale e di circa 25mila posti di lavoro. Ma farà risparmiare alla finanza pubblica poco meno di 6 miliardi il prossimo anno e altri 4 nel biennio 2026-2027. Per Alberto Brambilla, presidente del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, gli sgravi contributivi non solo non hanno prodotto vantaggi competitivi, ma hanno ritardato lo sviluppo delle regioni meridionali, così come l’erogazione delle pensioni d’invalidità e altri sussidi, specie in agricoltura. Finendo per drogare l’economia del Sud, creando solo poco lavoro di sussistenza, che si è dissolto non appena gli sgravi sono stati vietati. Perdita occupazionale poi recuperata successivamente grazie a significativi aumenti del Pil, ad eccezione di alcune ampie fasce di dipendenti, che, non appena la decontribuzione si è esaurita, si sono sommerse, andando a ingrossare le fila del lavoro nero. La verità è che al Mezzogiorno serve ben altro, soprattutto una seria politica industriale, assente ormai da troppi anni, che forse con l’indicazione delle filiere da incentivare prevista nella Zes unica potrà finalmente trovare una prima, concreta applicazione. In fondo, lo sgravio contributivo è un po' come l’altra faccia della medaglia del Reddito di Cittadinanza che nelle intenzioni era una misura utile per combattere la povertà ma in fase attuativa si è trasformato in uno strumento assistenziale che giustamente il Governo Meloni ha profondamente modificato. Il Sud ha urgente bisogno di una vera politica keynesiana, fondata su progetti di crescita a lungo termine, massicci investimenti pubblici e privati, un serio adeguamento dell’armatura infrastrutturale, interventi in grado di garantire la sicurezza del territorio. E poi, soprattutto, necessita di scuole e di università di buon livello, per rafforzare il capitale umano, e, al tempo stesso, di strumenti per trattenerlo al Sud, evitando la fuga dei giovani laureati al Nord e all’estero. C’è poi un dato che non va sottovalutato e che il ministro Giorgetti ha affrontato di petto nella legge di Bilancio 2025: troppe decontribuzioni mettono in crisi i conti dell’Inps, meglio sostituirle con detrazioni fiscali che incidono direttamente sui conti dello Stato. Preferibile, in definitiva, anche per venire incontro alle richieste del mondo imprenditoriale meridionale, puntare in alternativa sui crediti d’imposta agli investimenti, mettendo così aziende e lavoratori in grado di cimentarsi con i mercati, interni e internazionali, piuttosto che su decontribuzioni per l’assunzione di lavoratori. Strumenti, quindi, non generalisti, ma sempre più orientati verso ricerca e innovazione.

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