04 agosto 2020   Articoli

Mezzogiorno, serve il salto della rana

Amedeo Lepore - Il Mattino

Amedeo Lepore - Professore ordinario di Storia Economica - Università della Campania Luigi Vanvitelli

Il Mezzogiorno è tornato al centro della ricerca di soluzioni alla grave crisi del Paese. Questo giornale non solo sta contribuendo efficacemente al dibattito in corso, ma lo sta qualificando con interventi quotidiani, in una visione originale e avanzata. 

All’inizio del nuovo millennio, Giuseppe Galasso aveva delineato i temi del passaggio dalla “questione meridionale” tout court a un “problema aperto” a livello nazionale. Questa impostazione partiva dalla “rappresentazione di un Mezzogiorno ancora coinvolto in pieno in una condizione di grave deficienza di sviluppo moderno”. Per Galasso significava trovare il bandolo della matassa per “un ricominciare, non già un ripetere”, dato che molto era mutato nei termini del dilemma meridionale durante la storia unitaria e soprattutto dal secondo dopoguerra. 

Di fronte ai colpi di una doppia crisi, quella economico-finanziaria cominciata nel 2008 e quella attuale provocata dall’irrompere della pandemia, è necessario guardare ai cambiamenti più recenti. Infatti, il problema dell’ossificazione del sistema ormai riguarda tutto il Paese, che si è incamminato da tempo sulla strada del declino, nonostante alcune brevi fasi di risveglio e ripresa. Inoltre, si è consolidata una singolare antinomia tra la permanenza di un divario strutturale nella capacità produttiva delle “due Italie” e la diffusione di un tessuto industriale innovativo, che in alcuni comparti del Mezzogiorno è riuscito a integrarsi con le filiere nazionali e ad affrontare le sfide globali. 

Infine, il Paese nel suo complesso è immerso nella transizione generale a una nuova fase dell’economia, che precedeva il virus e che dal virus è stata prepotentemente accelerata. In questo quadro, il compito di una nuova concezione meridionalista è di riconoscere la reciprocità degli interessi del Nord e del Sud, che trova finalmente nel campo europeo e in una politica nazionale selettiva la possibilità di compiersi, effettuando un “salto della rana” (leapfrogging). 

Questo concetto può permettere a un’area che presenta tecnologie e basi economiche parzialmente sviluppate di progredire velocemente con l’adozione di sistemi moderni, senza attraversare passaggi intermedi. Non si tratta semplicemente di ritornare alle teorie della crescita di Alexander Gerschenkron, che mostrava i “vantaggi dell’arretratezza” per realizzare una profonda discontinuità, o agli argomenti attualissimi della “perenne tempesta della distruzione creatrice” di Joseph Schumpeter, che prefigurava le potenzialità di straordinaria metamorfosi dell’assetto capitalistico. 

Bisogna comprendere anche il contesto in cui si trova il Mezzogiorno, sapendo che niente sarà più come prima. Per questa ragione, il realismo che porta a vedere tutti i limiti delle scelte contingenti di cui è pervaso il particolarismo italiano e la difficoltà di rispondere adeguatamente al cambio di passo richiesto dall’Europa con interventi di fondo non può diventare il pessimismo di una Cassandra. Il salto di qualità sta nella capacità di perseguire obiettivi precisi e rigorosi, senza ripercorrere le strade del passato. 

Per uscire dalle perifrasi, il programma fondamentale per un nuovo Mezzogiorno va imperniato sulle priorità europee dell’innovazione digitale, dell’economia verde e del potenziamento del capitale umano. E su queste strategie vanno concentrati risorse e investimenti. L’economia della conoscenza è il terreno più favorevole per la trasformazione del Sud, convogliando la sua spinta sul mutamento della struttura produttiva, delle connessioni immateriali e delle dimensioni operative delle imprese, ma avviando anche un processo di riconfigurazione del lavoro verso i settori a più alto valore aggiunto. 

La bioeconomia, a sua volta, è l’evoluzione più recente della green economy, che ha già rappresentato un motore di crescita essenziale del Sud negli ultimi anni. Queste indicazioni implicano un notevole aumento di competitività e rendono praticabile una politica per fattori di sviluppo, in grado di fornire impulso a tutta l’economia. In questo modo, certamente non si proseguirebbe nella dispersione a pioggia delle disponibilità finanziarie, ma si creerebbero le condizioni per la sostenibilità del debito e per una inedita collaborazione tra iniziativa pubblica e privata. 

Restano due questioni. Gli strumenti da impiegare per l’attuazione degli obiettivi, considerando pure l’importanza della fiscalità di vantaggio, è preferibile siano quanto più diversificati e orientati a una massiccia attrazione di investimenti. La dimensione della governance richiede un incremento eccezionale dell’efficienza e della produttività delle pubbliche amministrazioni, specie meridionali, per semplificare, coordinare e sveltire gli interventi, liberandoli da vincoli ideologici e intermediazioni improprie. 

Questo itinerario non è il libro delle mille e una notte, con una storia che si ripete all’infinto, ma una conclusione plausibile per un appuntamento irrinviabile. Ci troviamo al tramonto di un vecchio sistema e all’alba di una possibile modernizzazione. Il Mezzogiorno può cogliere, insieme a tutto il Paese, quest’occasione e compiere il balzo in avanti indispensabile senza procedere stancamente, attendendo un futuro che mai verrà.

 

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