La nuova Europa ha bisogno di una nuova Italia per crescere
Amedeo Lepore - Il Mattino
Le conclusioni del Consiglio europeo del 1° e 2 ottobre hanno confermato una volontà unitaria nella gestione del COVID-19, a partire dalla preparazione e distribuzione del vaccino. Nella consapevolezza di “un impatto duraturo sull’economia europea e mondiale” della pandemia, il documento finale ha ribadito che: “Una solida base economica è ora più essenziale che mai per una crescita inclusiva e sostenibile, per la competitività, l’occupazione, la prosperità e il ruolo dell’Europa sulla scena mondiale”.
Il Consiglio europeo di luglio ha indicato un insieme di interventi senza precedenti per la ripresa e la riforma delle economie nazionali, fondati sulla transizione ambientale (che può evolversi con una grande trasformazione tecnologica) e l’innovazione digitale (che costituisce la nuova frontiera dello sviluppo). Una volta avviate, sarà possibile intrecciare queste iniziative con il rafforzamento del mercato unico, aumentando il grado di coesione, convergenza e resilienza dell’Europa.
È molto significativo che nell’ultima nota del Consiglio venga individuata la scelta prioritaria della politica industriale come leva per diversificare le catene del valore e incrementare gli investimenti negli ecosistemi produttivi più sensibili. Il documento propone di irrobustire il sistema delle PMI, di ampliare le alleanze industriali, di potenziare il sostegno a progetti di interesse comune, allo scopo di “superare i fallimenti del mercato e favorire le innovazioni pionieristiche”. Nel campo digitale, l’obiettivo dell’indipendenza tecnologica si coniuga con quello della competitività a livello mondiale, attraverso il miglioramento della dotazione di tecnologie (supercomputer, computazione quantistica e microprocessori), blockchain, intelligenza artificiale e reti in fibra ottica.
La Commissione europea dovrà presentare entro marzo 2021 un “Digital Compass” per definire le prospettive fino al 2030 in questa materia essenziale per la crescita e l’innovazione nello spazio continentale. La netta propensione per un “approccio antropocentrico” al tema dell’emancipazione digitale è associata alla creazione di un peculiare mercato unico e di precise norme, alla diffusione di tecnologie autonome e all’adozione di infrastrutture e competenze strategiche. L’Europa conta, così, di contribuire a una regolamentazione globale, alla salvaguardia di valori e diritti essenziali, alla sicurezza e interoperabilità dei dati, a uno sviluppo digitale “socialmente equilibrato”, accentuando l’attrattività del suo modello.
Le conclusioni del Consiglio europeo vanno lette anche alla luce dell’annuncio di mantenere la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità fino al 2021, intendendo scongiurare un precipizio fiscale repentino (dovuto al cliff effect), e dell’apertura a una revisione delle regole di bilancio, rimuovendone gli aspetti prociclici e adeguandole alle sfide di sviluppo del futuro. Anche se l’accordo sul quadro finanziario pluriennale e sul Recovery Fund necessita ancora di alcune settimane di negoziati, si sta delineando lo scenario di una nuova Europa, al quale l’Italia deve concorrere attivamente.
La produzione industriale ha mostrato una notevole ripresa nel terzo trimestre di quest’anno (+26,4%) – indice della capacità di reazione delle imprese italiane – dopo due primi periodi di forte caduta (-8,8% e -16,9%).
Tuttavia, i servizi registrano un recupero minore e gli ultimi dati dell’ISTAT, relativi ancora al secondo semestre del 2020, evidenziano tutta la portata della crisi: deficit pubblico in rapporto al Pil al 10,3%; pressione fiscale al 43,2% (in crescita dell’1,8% nonostante la cospicua contrazione delle entrate fiscali e contributive); reddito disponibile delle famiglie ridotto del 5,8%; crollo dei consumi dell’11,5%. Di fronte a questa situazione, è innegabile che a livello nazionale si stia svolgendo una gran mole di lavoro, con un impegno tenace.
Tuttavia, le modalità e gli esiti di questo sforzo richiedono una chiarificazione. Come ha osservato Giorgio La Malfa su questo giornale, sarebbe preferibile partire dalla selezione delle esigenze strutturali del Paese e dagli obiettivi strategici di trasformazione, in sintonia con l’indicazione delle linee guida europee di un coordinamento unico, anziché da una sommatoria di numerosi progetti specifici, seppure di ottima fattura.
In questo modo, non è affatto certo che si esca dal sostegno emergenziale a una miriade di bisogni (la logica del bonus), per passare alla scelta di interventi di medio-lunga durata, volti a superare le arretratezze del sistema e a intensificare la sua capacità propulsiva in termini di investimenti e produttività, evitando una successiva deflagrazione del debito. Se non si riuscisse a cogliere questa direttrice cruciale della svolta europea, i risultati rischierebbero di riproporre i vecchi mali del Paese, anziché promuovere la sua profonda riforma, condannandolo a una indesiderabile decrescita e marginalità.
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