Sull'apertura dei cantieri il Sud corre più di tutti
Le informazioni disponibili per comprendere lo stato di esecuzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non sono molte. Sebbene ReGiS – la piattaforma informatica mediante la quale le amministrazioni centrali e territoriali adempiono agli obblighi di monitoraggio, rendicontazione e controllo delle misure e dei progetti finanziati dal PNRR – abbia potenziato la provvista e l’aggiornamento dei dati, l’accesso al sistema è riservato solo ai soggetti direttamente interessati all’attuazione del Piano, ovvero amministrazioni centrali ed enti locali. Occorre, quindi, rivolgersi ad altre fonti per ottenere una rappresentazione dell’andamento degli investimenti e delle riforme.
Il portale ufficiale di Italia Domani fornisce molte notizie e indicazioni, comprese quelle dei 230 obiettivi conseguiti finora, ma quelle quantitative sono piuttosto datate. La Fondazione IFEL dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) offre un quadro delle assegnazioni degli investimenti rivolti a Comuni, Città metropolitane, Unioni di Comuni e Comunità montane, permettendo una valutazione di massima della distribuzione territoriale degli interventi pubblici finanziati dal PNRR. Il macrodato di partenza delle elaborazioni è l’importo destinato a questi enti alla fine del 2023, pari a 37,467 miliardi di euro – che con le risorse del Piano Nazionale Complementare arrivano a circa 40 miliardi – marcando una netta prevalenza della seconda missione dedicata alla transizione ambientale (41,41% del totale), seguita dalla quinta orientata a inclusione e coesione (30,60%) e, a distanza, dalla quarta missione per istruzione e ricerca (19,54%) e dalla prima per digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (8,45%). Queste informazioni assumono maggiore importanza se si considera che, secondo un’analisi condotta dall’ANCI su dati ANAC, fino a giugno 2024 nell’ambito di tali assegnazioni sono state bandite gare per 34,3 miliardi di euro ed effettuate aggiudicazioni per 20,9 miliardi.
L’aspetto che risalta nella ripartizione a livello geografico è il dato relativo a Comuni, Città metropolitane e loro aggregazioni del Mezzogiorno, con una somma di 16,376 miliardi di euro, pari al 43,71% del totale. La seconda missione, riservata all’economia “verde”, al Sud mantiene un’alta percentuale in termini di erogazioni (39,80%). Le missioni per inclusione e coesione (32,29%) e formazione e ricerca (21,31%) registrano percentuali più elevate nei territori meridionali rispetto alle nazionali, mentre quella per digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura si colloca a una quota bassa (6,60%). Se si confrontano questi dati con quelli della Fondazione Openpolis, si può ricavare uno scenario di apprezzabile vantaggio e minori difficoltà per il Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. La spesa effettiva per investimenti del PNRR fino a oggi è di 51,4 miliardi di euro, pari a solo il 26,41% del totale, mentre l’importo complessivo già assegnato a progetti specifici è pari a 136,5 miliardi su una disponibilità di 194,4 miliardi. Tuttavia, non è ancora possibile compiere una verifica sullo stato dei singoli interventi, pur rilevando che il maggiore progresso si è avuto nel comparto delle imprese e del lavoro (44,8%), grazie soprattutto al credito d’imposta, e delle infrastrutture (40,9%). A livello nazionale, in riferimento a queste valutazioni, appaiono consistenti i ritardi accumulati nel corso degli anni, mentre, soprattutto al Sud, i Comuni hanno impresso una spinta all’esecuzione dei progetti di loro competenza.
Una prima riflessione riguarda la governance del Piano, recentemente rivista, che, dopo un opportuno rafforzamento del coordinamento centrale, dovrebbe dispiegare in pieno il coinvolgimento degli enti territoriali e delle imprese. In questo modo, si potrebbe accelerare decisamente il conseguimento degli obiettivi del PNRR, fondato sulla capacità realizzativa (essendo performance based) più che sulla spesa in quanto tale. Una seconda notazione è relativa ai divari territoriali, che da diversi anni hanno cambiato fisionomia, investendo l’insieme dell’Italia e rendendo più complicato attribuire al Mezzogiorno il ruolo di Cenerentola. Anzi, dopo un primo risveglio nel 2015-2018, questa parte del Paese sembra nuovamente pronta a valorizzare un modello di sviluppo originale, contribuendo a una prospettiva di rilancio dell’economia nazionale. Su questo versante, un articolo di Maurizio Franzini ha evidenziato come anche il Regno Unito debba affrontare, dopo le scelte strategiche sbagliate degli ultimi anni, divari territoriali e disuguaglianze di opportunità, divenuti ormai un problema economico cruciale. Si tratta di un tema non più solo italiano, ma di carattere generale. Tale questione può essere affrontata, da noi, recuperando il terreno perduto nel completamento dello strumento più importante creato dalla UE (il dispositivo per la ripresa e la resilienza). Qui e altrove, ponendo al centro del processo di sviluppo politiche industriali e di crescita innervate nel tessuto delle aree più fragili e valorizzando risorse umane e capitale sociale di tutti i “Meridioni” d’Europa.
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