23 novembre 2020   Articoli

E il patto industriale avviò la storia economica della Puglia in crescita

Federico Pirro - La Gazzetta del Mezzogiorno

Federico Pirro - Professore di Storia dell’Industria - Università di Bari Aldo Moro

Il 2020 è stato l’anno di due anniversari di rilievo per la storia economica della Puglia contemporanea: i 60 anni dall’avvio del Consorzio per l’area di sviluppo industriale di Bari - riconosciuto a livello governativo nel maggio del 1960 e in esercizio dall’estate dello stesso anno - e dalla posa, datata 9 luglio, della prima pietra del Siderurgico di Taranto, alla presenza del Ministro dell’Industria Emilio Colombo.   La stagione del nuovo sviluppo, avviata così a Bari, Brindisi - ove nel 1959 era stata iniziata la costruzione del Petrolchimico - e Taranto, ebbe nella Democrazia cristiana, in Aldo Moro, allora segretario nazionale del partito, e in autorevoli amministratori locali come il presidente della Provincia barese Vitantonio Lozupone, i suoi protagonisti.

Moro guidava la DC dal marzo del ’59 e fra il 1961 e il 1963 - fase di inizio del primo Centro-sinistra con l’apertura al Partito socialista - organizzò i tre convegni di San Pellegrino in cui si delinearono i profili programmatici del nuovo corso politico che ci si accingeva a sperimentare a livello nazionale, dopo averne avviate le prime esperienze in grandi Comuni.

Toccò in particolare al I° convegno del 1961 definire le linee della nuova politica economica imperniata sul ruolo regolatore dello Stato che, grazie alla sua visione dell’interesse generale, avrebbe dovuto intensificare lo sviluppo dell’intero Paese, facendo dell’intervento pubblico nel Sud lo strumento per l’unificazione economica dell’Italia e per una sua crescita armonica e sostenuta. Corollario di tale visione era la funzione strategica assegnata nella relazione di Pasquale Saraceno alle grandi imprese a partecipazione statale, già chiamate dalla legge di rifinanziamento dell’Intervento straordinario, la 634 del 29 luglio del ’57, a localizzare nel Sud il 60% dei loro nuovi investimenti, sino a raggiungervi il 40% di quelli globali da esse realizzati.

Tali interventi statali - destinati a trainare, ma non sostituire quelli privati - si sarebbero concentrati in ‘poli’ territoriali da attrezzarsi per iniziativa degli Enti locali, incentivati da quella legge a creare Consorzi per aree di sviluppo industriale, insieme alle Camere di Commercio e ad altri soggetti interessati. E proprio in Puglia, e soprattutto a Bari, la promozione di un tale organismo consortile aveva trovato antesignani e strenui sostenitori sin dal 1956 nell’allora sindaco Nicola Damiani e nel già ricordato Vitantonio Lozupone, presidente della Provincia dal 1956 al 1962. Ed anche la Camera di Commercio - come già avvenuto per l’Ente Fiera del Levante - partecipò alla costituzione della nuova struttura, essendo soggetto propulsore della crescita territoriale.

Il Consorzio Asi di Bari, insieme a quelli di Taranto e Brindisi, risultò il primo nel Sud ad ottenere dal Comitato dei Ministri del Mezzogiorno l’approvazione del proprio statuto. Insediatosi l’organo di direzione, dapprima presieduto da Vitantonio Di Cagno - sindaco del capoluogo dal ’46 al ’52 e poi nominato primo presidente dell’Enel nel 1963 - e poi da Gennaro Trisorio Liuzzi, futuro sindaco del capoluogo dal 1964, il Consorzio avviò subito la realizzazione delle prime infrastrutture per favorire le nuove localizzazioni industriali.

E gli insediamenti presero avvio, grazie all’azione di Eni e Finanziaria Ernesto Breda, allora presieduta  da Pietro Sette, di Santeramo in Colle, autorevole manager pubblico che, dopo aver guidato l’Efim, costituito incorporando le attività della Finbreda, sarebbe stato chiamato al vertice dell’Eni nel 1976 e dell’Iri nel 1979.

Il primo insediamento nell’agglomerato fra Bari e Modugno, fu quello dal Pignone Sud del gruppo Eni, seguito subito dopo dalla Breda Fucine Meridionali, due fabbriche meccaniche mediograndi, tuttora attive ma con altre ragioni sociali, la prima divenuta Nuovo Pignone, controllata oggi con il gruppo omonimo dalla statunitense Baker Hughes, e l’altra Onaf - Officina nazionale armamento e fonderia di Rfi del gruppo FS.

Subito dopo giunsero, fra le altre, la Bre.ma, poi Firestone Bre.ma ed oggi Bridgestone, la Breda Hupp, specializzata in tecnologie per il condizionamento, poi divenuta Marelli Clima - e che dal ’94 ha ‘filiato’ la Thermocold, ora della Ingersoll Rand - la Isotta Fraschini motori, oggi del gruppo Fincantieri, e la Me.ca a Giovinazzo - che costituì con Bitonto il secondo agglomerato del Consorzio - una fabbrica in joint-venture fra la finanziaria pubblica Insud e la Pirelli, oggi del gruppo Prysmian.

A tali industrie si affiancarono il Ciapi - Centro di addestramento professionale, finanziato dalla Cassa per il Mezzogiorno, e una sezione dell’Istituto di ricerche Breda.  Era nato così grazie all’Eni, all’Efim e all’Insud - una finanziaria da quella controllata con la Casmez - il primo nucleo di un moderno apparato di produzione manifatturiera che costituisce tuttora un perno del sistema industriale provinciale, regionale e meridionale. A tali aziende se ne affiancarono molte private locali, fra cui le Officine Calabrese, trasferitesi dal vecchio impianto attivo da poco più di due decenni nella periferia cittadina.

Il ciclo dei nuovi investimenti si estese anche in provincia ove a Gioia del Colle si localizzò la Termosud - una grande fabbrica termomeccanica in joint-venture fra l’Ansaldo e l’Insud - per la produzione di caldaie per centrali elettriche, tuttora in attività come AC Boilers. A Barletta si insedio la Cartiera del Gruppo Donzelli.

Gli investimenti ripresero dopo la negativa congiuntura del ’64-’65, promossi da altre aziende pubblico-private come la Avir, per contenitori in vetro cavo per industrie agroalimentari locali, oggi della americana Owens Illinois, la Osram tuttora in esercizio come Mls, mentre dal 1968 si era iniziato a costruire il grande stabilimento della Fiat Sob, poi Altecna, incentivato grazie alla ‘contrattazione programmata’, promossa agli inizi del 1968 al Ministero del bilancio proprio dal Governo Moro.

La fabbrica sarebbe entrata poi in attività nell’ottobre del 1970, ma molti anni dopo le sue produzioni sarebbero state trasferite ad altre società: gli apparati frenanti, dopo altri passaggi di proprietà, alla Bosch che a sua volta li ha ceduti, quelli ad iniezione alla Magneti Marelli - oggi della nipponica Calsonic Kansei - e i carrelli elevatori alla Linde a controllo tedesco, da anni purtroppo dismessa. Successivamente arrivò a Bari, fra le altre, e grazie ad una joint-venture con l’Efim, la OtoTrasm, poi Graziano trasmissioni del gruppo Oerlikon ed oggi della statunitense Dana.

Il modello di industrializzazione avviato a Bari dai primi anni Sessanta del ’900 - realizzato in prevalenza da aziende a partecipazione statale e da joint-venture fra capitali pubblici e privati, promosse da Pietro Sette e volute da amministratori lungimiranti come Lozupone e Trisorio Liuzzi - risultò fra i migliori del Sud, ove assolve ancora funzioni trainanti nel territorio. Urbanisticamente, peraltro, la nuova zona industriale di Bari era stata allocata presso l’appena ultimata centrale elettrica della Società generale pugliese di elettricità del gruppo Sme - Società meridionale di elettricità, poi confluita nell’Enel - che risultò in Puglia il primo impianto termoelettrico moderno, in esercizio dal 1959 per alimentare il nuovo agglomerato e dismessa solo di recente, dopo essere stata riconvertita a metano.

Una lezione ci giunge da quella stagione di industrializzazione: quando la crisi colpisce le capacità produttive di tante Pmi locali, è opportuno che grandi gruppi pubblici tornino a svolgere funzioni propulsive per il rafforzamento dell’apparato industriale del Meridione, della Puglia e del Barese, in un’ottica però di servizio al Paese e sempre in logiche di mercato.

Ora la fase storica che dotò il capoluogo di un più moderno apparato industriale, meriterebbe, a nostro avviso, di essere studiata sotto il profilo tecnico e politico ancor più a fondo di quanto non sia avvenuto negli anni scorsi, grazie ad alcuni saggi e a qualche volume di docenti dell’Ateneo. E pertanto si auspica che due prestigiosi Istituti di studi storici presenti a Bari come il Gramsci e l’Ipsaic affianchino la ricerca che lo scrivente ha avviato con l’Istituto di Storia dell’industria e il suo archivio dell’Università Aldo Moro.

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