26 agosto 2020   Articoli

Fondi Ue, stavolta non si può sbagliare

Umberto Ranieri - Corriere del Mezzogiorno

Umberto Ranieri - Presidente Fondazione Mezzogiorno-Europa

Sembra farsi strada nel dibattito politico l’idea che il recupero allo sviluppo delle regioni meridionali costituisca un fattore essenziale per la ripresa del Paese. Era ora! Occorre che alle parole seguano scelte coerenti. 

Come sarà collocato il Sud nel piano di riforme che il governo dovrà presentare a Bruxelles? Si eviterà che le risorse disponibili alimentino una pioggia di sussidi e di bonus? L’Ufficio parlamentare di Bilancio stima che nel mese di aprile più della metà degli aiuti sia andata alla metà più abbiente della popolazione!  Dare “tutto a tutti” senza alcun legame con le effettive necessità e indipendentemente dal reddito conduce ad accentuare le diseguaglianze. Le risorse disponibili vanno usate con scrupolo e intelligenza  per evitare il rischio che una volta terminata la fase della emergenza ci si ritrovi con molto debito e poca crescita. Per utilizzare al meglio nelle regioni meridionali le risorse provenienti dall’Unione europea è il caso di  interrogarsi ancora una volta su quali siano gli ostacoli che impediscono l’avvio di uno sviluppo autonomo del Sud. 

Sostegni economici insufficienti? In un quadro di lungo periodo la spesa pubblica indirizzata verso il Sud ha alimentato trasferimenti netti  stimati dalla Banca d’Italia tra un quinto e un sesto del Pil del Mezzogiorno; la spesa del settore pubblico allargato sul Pil nel sud è stata superiore a quella del centro nord; le regioni meridionali hanno usufruito per anni di risorse stanziate dal bilancio dell’Ue. Certo, nel corso dell’ultimo decennio minori risorse sono state destinate al Sud e tuttavia non appare convincente la tesi che attribuisce a questa tendenza la responsabilità complessiva per le difficoltà che ha incontrato lo sviluppo economico del Mezzogiorno. 

Come sono state utilizzate (o non utilizzate) le risorse giunte al Sud? In quali condizioni versano le istituzioni meridionali? Quale è la loro capacità di progettazione e realizzazione di opere finanziate con i fondi europei? Questi gli interrogativi da porsi. Più feconda nella analisi della situazione economica e civile del Mezzogiorno appare la tesi che considera l’insufficiente provvista di beni collettivi il principale ostacolo alla crescita economica: inadeguatezza dei processi formativi, deficit di infrastrutture materiali e immateriali, arbitrarietà e inefficienza della pubblica amministrazione, aggressione della criminalità. 

Se non si affrontano questi problemi, ridurre gli oneri contributivi potrebbe non essere sufficiente per attrarre investimenti dall’esterno e aprire una prospettiva di crescita della occupazione. Nel passato la politica di incentivazione e i benefici fiscali  hanno pesato molto sulla finanza pubblica ma non hanno prodotto risultati significativi in termini di allargamento della base produttiva meridionale. In realtà, se è la qualità del contesto ambientale a condizionare le decisioni di investimenti, non sarebbe meglio puntare (lo sostiene da tempo con i suoi studi Carlo Trigilia) su un deciso e efficace intervento per realizzare le infrastrutture materiali e immateriali e quei beni collettivi che solo il pubblico può realizzare e dai quali dipende la qualità dell’ambiente economico e sociale? 

Un’ultima osservazione. Il Mezzogiorno andrebbe considerato una macro regione europea di 21 milioni di persone di cui definire la missione  economico-produttiva tenendo conto delle sue specificità e caratteristiche. Nell’uso delle risorse ad essa destinate andrebbe irrobustita la capacità di coordinamento, progettazione e controllo del livello nazionale di governo. La via per scongiurare il rischio che le politiche pubbliche per il Sud si riducano alla somma di particolarismi e localismi e si risolvano nella risposta a piccoli interessi di parte. Questa volta i fondi europei hanno da essere  utilizzati in modo produttivo e sensato e fino all’ultimo centesimo.   

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