La spinta della rigenerazione urbana
Napoli e il Mezzogiorno possono rappresentare un fattore concreto per l’impulso a una ripresa in chiave nazionale ed europea, non solo in ragione dei vuoti produttivi di un quadro macroeconomico, ma per l’opportunità di tramutare i fenomeni di inedita trasformazione industriale in alcuni comparti avanzati (le “4 A” di agroalimentare, abbigliamento, autotrasporto – pur scontando la crisi dell’auto – e aerospazio; l’economia circolare; le nuove imprese; la ricerca e l’innovazione tecnologica) in un processo di crescita sistemica, ovvero in un consolidamento strutturale della base manifatturiera. Questo obiettivo non può essere perseguito senza una metamorfosi delle città meridionali e delle loro aree di maggiore affollamento o abbandono. Per la metropoli partenopea si avvertono i segnali di una consapevolezza diversa dal passato per l’avvio di un processo di rigenerazione. Se si osservano alcuni tra i principali punti di attacco di una strategia di riqualificazione territoriale, a cominciare da Caivano e Scampia, piazza Garibaldi, centro direzionale e Bagnoli, si può percepire la possibilità di un mutamento più generale, al quale concorrere in una relazione virtuosa tra istituzioni, imprese e cittadini, associazioni e altre forme di aggregazione sociale.
Il termine rigenerazione urbana (urban regeneration), nella sua accezione originaria, indica i programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare con impronta sociale e ambientale, privilegiando il riuso dell’edilizia esistente e contenendo, perciò, il consumo di suolo, in un’ottica complessiva di riduzione dell’impatto sull’ecosistema e di miglioramento della qualità della vita. Concetto diverso è quello del rinnovamento urbano (urban renewal), che prevede un’edilizia nuova o sostitutiva – basata su interventi di demolizione e ricostruzione – con una maggiore incidenza del suo carattere remunerativo. Questi due approcci, di fronte all’esigenza di un profondo cambiamento delle condizioni abitative, della situazione sociale e della qualità urbana nel Mezzogiorno, possono essere integrati, nei loro migliori aspetti, in una visione originale di sviluppo. Salvatore Cafiero e Pasquale Saraceno ragionavano in questo modo, quando si proponevano, mezzo secolo fa, di mettere al centro di una svolta meridionalista la “questione urbana”, come leva per il rafforzamento dei territori e dell’economia del Sud.
Oggi, al cospetto delle contraddizioni e dei drammi dei maggiori agglomerati delle città meridionali – ma il tema riguarda ormai medi e grandi centri di tutto il Paese – è indispensabile riprendere l’elaborazione e la programmazione di interventi organici per rivitalizzare gli spazi urbani degradati, riconvertire i siti industriali dismessi e irrobustire il tessuto sociale, con una strategia di sviluppo vieppiù innovativa. Nell’esame di questo scenario per l’area napoletana, al di fuori di una mera logica topografica, si può puntare a infrangere la sua “corona di spine”, che ha soffocato la vocazione metropolitana della città e impedito una piena connessione del centro con le altre parti del territorio circostante. La zona Nord è caratterizzata dall’aggiornamento del progetto “ReStart Scampia”, con l’intento di una rigenerazione del quartiere attraverso la costruzione di nuovi alloggi e la promozione di iniziative per l’agricoltura urbana, il verde, l’istruzione – a cominciare dal ruolo strategico già esercitato dall’Università – e l’aggregazione sociale e culturale. La “primavera di Caivano” consiste, a sua volta, in un esperimento complesso di riqualificazione edilizia e digitalizzazione, istruzione e formazione, realizzazione di attrezzature collettive, partecipazione civica e potenziamento della sicurezza, condotto a tutti i livelli istituzionali e apprezzato di recente anche dal procuratore della Repubblica di Napoli, che ne ha sottolineato la durevolezza e l’efficacia. Nell’area tra la stazione centrale e il centro direzionale, istituzioni e imprese stanno provando a convertire un modello di insediamento obsoleto in un progetto di riordino urbano e rinnovamento sociale. Si tratta di operazioni innovative, che riguardano: la gestione sociale degli spazi di piazza Garibaldi, con la sperimentazione di un meritevole partenariato pubblico-privato; il progetto intermodale “Porta Est”, con la copertura dei binari della Circumvesuviana e la razionalizzazione degli spazi di superficie; la costruzione, in un luogo di estrema desolazione, del PalaEventi per la musica e lo sport mediante un project financing.
A Oriente della città si stanno avviando interventi di edilizia abitativa pubblica con finalità sociali e a Occidente si procede con maggiore concretezza per riuscire a vincere la scommessa di Bagnoli. Insieme a queste iniziative, occorre mettere a regime almeno altri tre cospicui campi di azione su temi irrisolti: l’impiego dell’enorme patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato, partendo dall’accordo per il Piano Città con l’Agenzia per il Demanio; la risoluta definizione di programmi per nuove abitazioni, attraverso processi di rigenerazione edilizia; la realizzazione di piani di manutenzione, decoro e viabilità su scala metropolitana. Per integrare queste opere in una logica di sistema è indispensabile, anche in tempi difficili, rinsaldare una collaborazione e una sinergia istituzionale su scopi specifici, ma di grande valore per la comunità. Non dimenticando, come ha ammonito Saskia Sassen, che le maggiori città, oltre a dovere curare il benessere dei loro abitanti, sono parte di una competizione a livello nazionale e internazionale per affermare la loro attrattività. Solo in questo modo, Napoli e il Mezzogiorno potranno vincere la sfida.
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