Investire negli ITS e IFP, ce lo chiede il mondo del lavoro
Angelo Colombini - il Riformista
Realizzare un legame più stretto con l’innovazione digitale e le nuove tecnologie introdotte da industria 4.0 riducendo il mismatch tra domanda e offerta di competenze: queste sono solo alcune delle emergenze da affrontare
L’ultimo report dell’Ocse “Education at a Glance 2023” conferma tutti i ritardi, le debolezze e le mancanze dei nostri sistemi di istruzione e formazione. Un settore che può aiutare a migliorare l’efficacia e la qualità dell’istruzione in Italia è la formazione tecnico – professionale sia secondaria che terziaria. Ridurre la dispersione scolastica, passando dall’attuale 13,5% al 10,2% entro il 2026, come previsto nel PNRR, innalzare le competenze della popolazione, ampliare il sistema duale, rafforzare l’occupabilità giovanile, abbattere il numero di NEET, realizzare un legame più stretto con l’innovazione digitale e le nuove tecnologie introdotte da industria 4.0 riducendo il mismatch tra domanda e offerta di competenze sono alcune delle emergenze da affrontare. Le riforme e le risorse previste dal Pnrr - per gli ITS con un investimento di 1,5 miliardi e per gli istituti tecnici e professionali interventi per allineare i curricula alla domanda che proviene dal tessuto produttivo del Paese - possono concorrere a risolverle. Mentre per la prima riforma la legge è stata approvata e si stanno predisponendo i decreti attuativi, per la seconda sono entrati in vigore due articoli contenuti nel Decreto-legge aiuti – ter. Per una riforma complessiva dobbiamo attendere la risposta della Commissione Europea perché, nel documento di revisione del PNRR, il Governo ha chiesto di spostare il termine a giugno 2024 per il suo completamento. Si sta comunque diffondendo la consapevolezza dell’importanza di questa filiera formativa per la crescita di ragazze e ragazzi come adulti responsabili, e inseriti attivamente nel sistema sociale, economico e produttivo del paese. I giovani, le famiglie ed anche la scuola, devono però comprendere che gli studi tecnico - professionali non sono un percorso di istruzione di serie B, una seconda scelta per chi non è in grado di studiare in un liceo, ma un percorso di istruzione importante sia per la crescita personale che per quella del paese. Per questo anche la riforma dell’orientamento è fondamentale per dotarci di un sistema organico, di docenti adeguatamente formati e di risorse dedicate per intercettare talenti, capacità, inclinazioni dei giovani. Costruire una filiera lunga della formazione tecnica e professionale che porti all’istruzione terziaria, che siano gli ITS (Istituti Tecnologici Superiori) o una laurea professionalizzante, spingerà molte famiglie a riconsiderare la validità di questi percorsi. Una delle questioni che incide sulla visibilità della formazione professionale dipende dal fatto che ci sono ancora molte differenze nelle programmazioni regionali dell’offerta formativa che fanno sì che questi percorsi non siano riconoscibili e appetibili. I soggetti coinvolti, associazioni datoriali, organizzazioni sindacali, enti di formazione, regioni e Ministero devono lavorare per concretizzare una riforma che dia queste caratteristiche alla formazione tecnica e professionale.
Il legame con il territorio e con le sue forze produttive è essenziale per garantire negli istituti tecnici e professionali la diffusione del sistema duale con esperienze di apprendimento nei luoghi di lavoro e che favoriscono l’occupabilità, sapendo che in un sistema economico e produttivo sempre più informatizzato, digitalizzato e globalizzato, i ragazzi e le ragazze saranno in grado di spendere le loro competenze professionali anche al di là dell’ambito locale. Il necessario legame con il territorio non giustifica tuttavia le molte differenze tra i sistemi regionali che limitano anche la possibile mobilità dei giovani che potrebbero scegliere corsi che si svolgono in altre regioni. Dobbiamo dare a questa filiera formativa un respiro nazionale ma anche globale. La globalizzazione, l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione hanno determinato cambiamenti profondi nella domanda di competenze espressa dai sistemi produttivi. L’evoluzione della struttura demografica, il prolungamento della vita attiva, hanno ridefinito le esigenze di formazione delle persone e i loro comportamenti, stimolando una crescita della domanda di formazione oltre che dell’offerta. Non possiamo accettare che il successo di questi percorsi sia legato alla capacità progettuale ed alla disponibilità delle risorse delle Regioni e alla qualità dell’offerta formativa degli enti. Dobbiamo garantire standard di offerta e di qualità dei percorsi in tutto il territorio nazionale se vogliamo superare i pregiudizi legati a questo sistema di formazione - percorsi scelti da giovani svogliati che non hanno voglia di studiare, istituti vecchi e privi di laboratori adeguati, insegnanti demotivati - e farne un acceleratore del miglioramento e adeguamento continuo di competenze e di crescita dei sistemi produttivi, che decidono di investire nel capitale umano. È necessario che si innalzi il costo standard per studente della filiera regionale al pari di quella statale se vogliamo la stessa qualità e diffusione da Nord a Sud, e che si rinnovi il contratto di lavoro della formazione professionale fermo da oltre dieci anni. È stato presentato in questi giorni dal Ministro Valditara in CdM un disegno di legge che lancia dall’anno scolastico 2024-25 una sperimentazione che prevede una durata quadriennale dei percorsi degli istituti tecnici e professionali statali, e la possibilità di accedere subito ad un biennio presso gli ITS. Questo permetterà di avere una filiera lunga e di accrescere il numero di studenti e studentesse con un titolo di studi terziario non accademico ed alle imprese di trovare tecnici specializzati più agevolmente. Per accrescere il numero degli iscritti e diplomati a questi percorsi è necessario che la stessa sperimentazione sia approvata dalla Conferenza Stato – Regioni e che si attui anche nella IeFP (istruzione e formazione professionale regionale). Quando il modello regionale è presente e funzionante, genera prestazioni di eccellenza anche sulla occupabilita’ dei diplomati. Dobbiamo, insomma, fare in modo che non ci sia competizione tra le due filiere ma che anzi si sostengano e si completino a vicenda colmando quei divari regionali che purtroppo sono ancora troppo forti nel nostro paese.
Angelo Colombini
Vicepresidente Enba
Consigliere Civ Inail
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