Regolarizzare la dignità del lavoro
Roberto Cellini - La Sicilia
La diffusione di COVID-19 e, soprattutto, le misure di contenimento messe in atto, hanno rappresentato uno shock restrittivo sia per il lato della domanda sia per il lato dell’offerta nell’economia aggregata: si sono contratti (e si profila che si contrarranno anche nel prossimo futuro), al tempo stesso, i volumi delle quantità domandate e anche di quelle prodotte, nella quasi totalità dei mercati di beni e servizi.
Quantificare gli effetti di questo shock è tutt’altro che semplice anche per la “novità” dell’evento, nel panorama dell’economia globalizzata in cui stiamo vivendo. A differenza di eventi economici passati, anche tragici, il tratto caratteristico di questo shock è che ha colpito la totalità dei Paesi del mondo e fare affidamento sul traino proveniente da contesti esterni non è possibile. La variabilità delle previsioni su quanto cadrà il PIL nel nostro Paese (e in Europa, e nel mondo) nell’anno corrente, e come varierà nel 2021, ne è testimonianza. I governi nazionali di tutti i Paesi (e, in Europa, le istituzioni dell’Unione) hanno annunciato –e messo in campo, con maggiore o minore prontezza ed efficacia– interventi di sostegno che, per dimensione quantitativa, hanno davvero pochi precedenti, a riprova della consapevolezza della gravità della situazione che si profila.
Quali saranno le conseguenze per le dinamiche delle diverse regioni, in Paesi caratterizzati da forti squilibri, come è l’Italia? In linea generale, si deve essere molto preoccupati, perché la storia testimonia che le diseguaglianze regionali tendono a ridursi quando l’economia nel suo complesso cresce, mentre si acuiscono in periodi di ristagno e recessione.
E tuttavia non è proprio il caso di abbandonarsi al fatalismo e attendere un ineluttabile allargamento delle diseguaglianze territoriali, in un contesto, peraltro, di arretramento complessivo per tutti. Al contrario, occorre prendere iniziative per accompagnare misure economiche che non hanno precedenti in termini quantitativi con misure che non hanno precedenti anche sotto altri profili. Le risorse ingenti che saranno in campo (e sulla cui distribuzione è ovvio attendersi tensioni e conflitti) non devono alimentare le sirene dell’assistenzialismo. Con l’assistenzialismo non si cresce e soprattutto non si cambia.
Gli interventi di sostegno alla domanda devono fare in modo che le famiglie considerino tra i propri bisogni primari anche gli investimenti in capitale umano (leggi: formazione di chi lavora e soprattutto dei figli). Le spese in formazione sono tra i migliori impieghi che di una risorsa può essere fatto, in termini di rendimenti nel lungo periodo.
Gli interventi di sostegno al lato dell’offerta di beni e servizi non possono fermarsi agli incentivi a fondo perduto alle imprese, ma devono sostenere gli investimenti e, soprattutto, intervenire sulle regole e sulla semplificazione degli adempimenti, e sulla cultura d’impresa. Nella pagina di presentazione di “Mer-ita” un’associazione di recente promossa da un gruppo di economisti operanti nel Mezzogiorno (che vuole, con un gioco di parole, essere l’acronimo di ‘Meridione’ ed ‘Italia’, ma anche segnalare che senza la cultura del merito non si va da nessuna parte) giustamente si legge “L’intermediazione politico-burocratica nella distribuzione di risorse pubbliche va minimizzata, con processi amministrativi efficaci, veloci e imparziali. Lo sblocco degli investimenti pubblici richiede procedure innovative e rifiuto della cultura del sospetto nei confronti delle imprese”.
Io vedo un tema su tutti, rilevante per il Mezzogiorno ma non solo, e rilevante sia sul lato della domanda sia sul lato dell’offerta dei mercati: mi riferisco all’emersione del lavoro irregolare. Agganciare politiche di sostegno al consumo delle famiglie e alla produzione delle imprese legandole all’emersione del lavoro irregolare potrebbe consentire di ottenere risultati significativi non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e culturale. In modo più esplicito e diretto, vorrei davvero vedere, tra le misure da varare, forti sostegni a lavoratori e imprese che regolarizzano rapporti di lavoro pregresso – in luogo di indistinti aiuti generalizzati. Gli interventi straordinari disegnati nelle scorse settimane per sostenere la regolarizzazione del lavoro si sono limitati, di fatto, a un intervento sugli immigrati – appropriato e giusto. Ma c’è da regolarizzare anche la dignità del lavoro di molti cittadini italiani, il cui impiego irregolare rappresenta una ingente perdita rispetto alle potenzialità della nostra economia, e allo sviluppo non solo economico della nostra comunità.
Quando si tratterà di ripartire le risorse destinate alla ripresa economica fra le regioni, sarebbe bene avere un obiettivo finale e generale da perseguire, che non sia il mero recupero dello statu quo, o indennizzi legati a meri indicatori sanitari. Occorrerà guardare all’Italia che vogliamo in futuro. In fondo, avere un piano e un’idea in testa è quello che viene chiesto da chiunque chieda e si appresti ad impiegare risorse. E l’obiettivo da condividere dovrebbe essere, a mio avviso, proprio quello di avere finalmente una Repubblica basata sul lavoro, inteso come elemento imprescindibile per la dignità dell’uomo.
Se il disastro provato da COVID-19 (e misure successive) potesse essere un elemento per dare una radicale svolta alle azioni per l’emersione del lavoro irregolare, almeno un effetto buono, tra tanta devastazione e macerie, potrebbe averlo generato.
Seguici sui social