Il Pil cresce perché i salari sono più bassi
L'occupazione, il Pil e le esportazioni sono in crescita, mentre deficit e debito sembrano sotto controllo, nonostante l'aumento dei tassi di interesse. Com'è stato possibile?
I dati recenti sembrano dipingere un quadro roseo per il nostro paese. L’occupazione cresce con continuità, il Pil cresce seppur a tassi minori, le esportazioni pure e infine persino il deficit e il debito su Pil sembrano sotto controllo. Come è stato possibile nonostante l’aumento dei tassi di interessi? Ci sono due classi di motivazioni, una di natura contabile (la maniera in cui contabilizziamo le spese per i bonus edilizi) e una reale. Mi occuperò solo di queste ultime. La prima ha a che fare con il fatto che lo stock di debito si è automaticamente svalutato. Con il grosso del debito in titoli a tassi fissi, l’inflazione improvvisa e imprevista ne ha svalutato il valore automaticamente. Il PIL nominale a denominatore cresce automaticamente con l’inflazione per effetto dell’aumento dei prezzi, mentre il debito cresce meno per i tassi bassi ereditati dal passato. Questo significa che in futuro avremo parte del debito emesso ai maggiori tassi dell’anno scorso e il PIL che cresce meno e il rapporto tenderà a crescere automaticamente. Inoltre, a pagare il costo sono stati i sottoscrittori del debito che si sono ritrovati con rendimenti sotto il tasso di inflazione, ovvero rendimenti reali negativi. L’inflazione inattesa è l’unico meccanismo di svalutazione del debito in effetti e senza superbonus avremmo potuto ridurre il debito di almeno 5 punti di PIL e forse uscire dalla morsa negli anni prossimi.
La ragione però più pesante che motiva la stabilità della finanza pubblica è che alcune delle poste più grosse del bilancio pubblico sono cresciute molto meno dell’inflazione e quindi si sono ridotte in termini reali (o in rapporto al PIL). Si tratta di stipendi pubblici e pensioni. Nel triennio dal 2021 la perdita di valore delle retribuzioni pubbliche è del 12 per cento. In altri termini un dipendente pubblico medio ha perso il 12 per cento della sua retribuzione reale. Inoltre, a costi crescenti, i trasferimenti ad esempio alla sanità sono cresciuti molto più lentamente. Questo suggerisce che a pagare il superbonus, ovvero a mantenere in equilibrio la finanza pubblica nonostante i 170 miliardi di spese, sono stati in effetti i dipendenti pubblici e i servizi.
Infine, guardiamo crescita ed esportazioni. Come mai siamo così competitivi e il PIL cresce? Le retribuzioni nel settore privato hanno perso potere d’acquisto nella misura del 11 per cento. Se uno fornitore ha una diminuzione del costo principale di questa misura, diventa straordinariamente competitivo. Ma questa competitività ha una fonte precisa: l’impoverimento dei lavoratori. In altri termini prosegue la nostra trasformazione in una economia arretrata, a bassa produttività e salari. Questo è particolarmente evidente quando si consideri che la crescita dell’occupazione è stata maggiore di quella del PIL, e quindi la nostra produttività cala ancora. Non c’è niente di sorprendente in questo, quando il prezzo del lavoro cala le imprese ne occupano di più. Ma non c’è niente da festeggiare.
Rimane il mistero del perché non ci siano rivendicazioni in corso dal mondo del lavoro. Mentre rimangono inalterate le rendite, i lavoratori subiscono passivamente. La stranezza è che negli USA, anche a fronte di ampie rivalutazioni dei salari, la forte inflazione ha lasciato i lavoratori con l’impressione di una perdita di potere d’acquisto e una percezione negativa sull’economia, che potrebbe costare la Presidenza ai Democratici. Da noi invece una vera e massiccia perdita di potere d’acquisto non causa nessuna protesta e la popolarità del governo regge.
Articolo pubblicato su ripartelitalia.it
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