16 settembre 2020   Articoli

La retorica anti meridionale

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

Giuseppe Coco - Professore di economia politica

Le uscite estive di alcuni dei sindaci più rappresentativi del nord Italia contro la spesa pubblica al sud sono un brutto segnale di allarme. Da un punto di vista politico sono già stati contestati ampiamente anche su questo giornale ma, quello che colpisce è che quelle opinioni sono prive di critiche nel merito. A scatenare la retorica nordista sono state probabilmente alcune misure del decreto agosto, prima fra tutte la decontribuzione su tutti i lavoratori al sud.

La retorica anti-meridionale diffusa al centro-nord non nasce col leghismo, ma di certo con esso ha compiuto un salto di qualità. Gonfiata dal fallimento della Prima Repubblica, dalla crescita insostenibile del debito pubblico, diventa rilevante quando lo stesso nord comincia ad arrancare rispetto alle aree più dinamiche d’Europa. Eppure la crescita del debito pubblico non è di certo più attribuibile alle regioni meridionali di quanto lo sia alle regioni settentrionali. Le voci che più direttamente hanno impattato sui conti infatti sono la crescita della spesa, soprattutto pensionistica, e gli interessi sul debito soprattutto negli anni 80.

La generosità del sistema pensionistico e lo squilibrio che ne deriva hanno due fonti. La prima è l’evasione contributiva, concentrata in effetti al sud, cui corrisponde un elevato numero di trattamenti pensionistici minimi. La seconda è invece la generosità del sistema retributivo di cui beneficiavano tutti i lavoratori in regola e che in particolare attuava una implicita redistribuzione dai poveri ai ricchi. Più alto il tuo stipendio finale infatti e maggiore era il contributo che lo Stato implicitamente ti trasferiva. Per questa via i vantaggi della generosità del sistema sono stati distribuiti soprattutto a settentrione. Ed infatti le pensioni sono sempre state politicamente un cavallo di battaglia della Lega.

Per quanto riguarda gli interessi, si tratta della voce che ha contato di più nel gonfiare a dismisura il debito pubblico. Dopo il ‘divorzio’ tra Banca d’Italia e Tesoro nel 1981, e per tutti gli anni 80, lo Stato ha di fatto trasferito una enorme ricchezza (rendimenti netti reali anche sopra il 10% annuo) a una parte della popolazione, quella che poteva permettersi di comprare titoli del Tesoro. Anche in questo caso è ragionevole aspettarsi che il debito pubblico sia andato a finanziare la ricchezza dei settentrionali piuttosto che i meridionali.

Nel complesso non sembra che gli sprechi e la situazione debitoria in cui siamo, sia più attribuibile al Mezzogiorno che al settentrione. E’ però ipocrita negare che i 50 miliardi di trasferimenti impliciti annui che dal resto del paese vanno al Mezzogiorno non esistano e che il Mezzogiorno sia costantemente penalizzato come certi commenti lasciano pensare. Non è vero che la spesa pubblica sia maggiore al sud che al nord, ma è vero che il Mezzogiorno non potrebbe permettersi nemmeno lontanamente quella spesa pubblica in autonomia. Ed è corretto che l’intera comunità nazionale, e con essa anche il nord, chieda conto della efficacia di quella spesa.

Ed è questo il dibattito legittimo. Non si tratta tanto di discutere la misura delle risorse allocate al Mezzogiorno ma pretendere che queste siano allocate in maniera efficace ed efficiente. E questo vale anche per la spesa regionale, anche sanitaria, ma tanto di più per quella per lo sviluppo. Il regionalismo invece si è configurato ad oggi come autonomia senza responsabilità, e traspare chiaramente dalle dichiarazioni dei Governatori come essi si sentano legittimati da una fonte di sovranità autonoma. E’ utile invece ricordare che i governatori sono vincolati dall’appartenenza alla comunità nazionale e responsabili rispetto ad essa, sia quelli di regioni che hanno il dovere di contribuire alla coesione nazionale, e tanto più quelli che sono destinatari di risorse della solidarietà nazionale. Perché è solo nell’ambito di un recupero della responsabilità reciproca e dell’appartenenza alla comunità nazionale che si può porre la questione meridionale.

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