Se la leva fiscale non basta
Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno
Qualche giorno fa, nella rubrica domenicale del Corriere del Mezzogiorno, Claudio De Vincenti ha opportunamente sollevato grossi dubbi sulla scelta di devolvere 5 miliardi all’anno alla cancellazione del 30% degli oneri contributivi a carico dei datori di lavoro nel Mezzogiorno. Questa scelta, attribuita al Ministro Provenzano, in effetti non sembra coerente con la linea di massima definita dal Governo nel Piano per il sud e solleva qualche perplessità sul rapporto tra spesa ed effetti.
Ricordiamo, per capire di che stiamo parlando, che già oggi esiste una decontribuzione totale di fatto su tutte le nuove assunzioni aggiuntive nel Mezzogiorno, della durata di tre anni. La nuova misura attua invece la fiscalizzazione del 30% dei contributi di tutti i dipendenti privati già in servizio. Qualcuno sostiene che si tratti di una misura che in qualche misura cerca di simulare le cosiddette gabbie salariali, un cavallo di battaglia di molti economisti settentrionali, adeguando per via fiscale i salari alla produttività meridionale. In tal caso, la misura sarebbe inutile: la realtà che emerge dai dati sulle retribuzioni effettive dell’Istat e dalla esperienza di molti imprenditori è che, al di là delle retribuzioni base definite in modo omogeneo dalla contrattazione nazionale, differenze significative nelle retribuzioni effettive esistono già. Quelle al Sud sono più basse (all’incirca come la produttività) per effetto di differenze implicite nei livelli di qualifica, nei premi di produzione e nella contrattazione aziendale.
Mettendo da parte questa motivazione, la decontribuzione parziale potrebbe avere in teoria l’obiettivo di evitare licenziamenti di massa al termine delle salvaguardie attuali. Ma a parte il fatto che in tal caso non avrebbe senso prevederne come fa il Governo una estensione su un arco decennale, appare comunque improbabile che uno sconto del 30% sulla contribuzione abbia un effetto sostanziale, ed è assurdo pagare questo effetto marginale 5 miliardi l’anno. Lo sconto contributivo in effetti è inferiore al 10% del salario complessivo. Quanti datori di lavoro prenderebbero la decisione di non licenziare in una situazione di difficoltà per uno sconto del genere? Gli effetti di incentivo sono scarsi.
Il provvedimento sembra quindi ispirato a una visione minimalista di intervento. Il ragionamento sarebbe: visto che la politica di coesione ha sostanzialmente fallito, trasferiamo risorse alle forze vive del paese, gli imprenditori in questo caso, attraverso una fiscalità di vantaggio strutturale, e speriamo che li usino bene; di certo li useranno meglio degli amministratori degli enti territoriali del Mezzogiorno.
Si tratta di una logica tipica del modo di pensare ad esempio di Giulio Tremonti, che non si preoccupa di incidere sulle cause di insuccesso delle politiche pubbliche. Sia chiaro: esistono strumenti automatici per generare comportamenti ed effetti positivi, senza l’intermediazione della politica e della PA, e sono convinto che debbano essere usati al massimo. Ma la decontribuzione non serve a incentivare azioni che hanno effetti positivi sull’economia del Mezzogiorno, come fa il credito d’imposta per gli investimenti industriali al Sud. Solo con investimenti e riqualificazione della forza lavoro cresceranno la produttività ed i salari. Meglio sarebbe quindi perseguire la strada del potenziamento del credito d’imposta.
Qualora si volesse comunque perseguire la strategia dello sconto contributivo, sarebbe almeno opportuno legarlo – in termini aggiuntivi al credito d’imposta - alla effettuazione di investimenti di qualunque genere, da impianti e macchinari ad attività di formazione per il personale e di digitalizzazione delle attività. Sarebbe una soluzione più complessa del credito d’imposta. Ma, rispetto alla decontribuzione per tutti, si concederebbe il beneficio solo a chi reinveste i risparmi, con un costo molto più contenuto. Inoltre anche il costo politico di contrattare la misura a Bruxelles sarebbe inferiore: si rispetterebbe il principio comunitario che gli aiuti di Stato possono solo essere concessi a fronte di un investimento.
Cosa abbia indotto il Ministro a proporre un intervento così distante dalla sua dichiarata filosofia di intervento è difficile da dire. Ma un ripensamento o almeno una correzione di tiro è senz’altro auspicabile.
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