27 settembre 2020   Articoli

Infrastrutture, la via sociale che porta allo sviluppo

Amedeo Lepore - Il Mattino

Amedeo Lepore - Professore ordinario di Storia Economica - Università della Campania Luigi Vanvitelli

Il tema delle infrastrutture sociali in Italia e nel Mezzogiorno è di cruciale importanza per la ripresa del Paese e il superamento dei suoi divari territoriali, economici e civili, contribuendo alla fondazione di un nuovo welfare, che, come ha notato Anton Hemerjick, può apportare di per sé una maggiore crescita. Di questo argomento si è parlato in un seminario promosso da Astrid dal titolo Rilanciare le infrastrutture sociali in Italia. Contributo alla definizione del Recovery Plan per l’Italia, che ha messo a fuoco le possibilità di intervento in questo campo. Infatti, si tratta di un settore vasto – spaziando dalla sanità e dall’assistenza di lungo periodo, all’istruzione e alla formazione permanente, all’edilizia sociale – in grado di inverare progetti che migliorano la salute e il benessere delle comunità e, in specie, degli strati più fragili, ma che le amministrazioni pubbliche spesso non riescono ad attuare per mancanza di fondi. 

Negli ultimi anni, imprese e capitali privati stanno rivolgendo la loro attenzione a questo comparto, con l’obiettivo di conseguire un ritorno economico e, parallelamente, un progresso del contesto ambientale e delle condizioni della società. In questo modo, gli investimenti generano un particolare effetto (impact investing) che li qualifica, ottenendo, secondo il Global Impact Investing Network, “un impatto socio-ambientale positivo e misurabile e, al tempo stesso, un rendimento finanziario per l’investitore”. 

Se lo scopo prioritario del Next Generation EU è il dispiegamento di investimenti pubblici e privati per diffondere la digitalizzazione, promuovere la sostenibilità e potenziare le capacità di resilienza del sistema, un grande progetto unitario per le infrastrutture sociali può intercettare tutti e tre gli obiettivi e rappresentare uno degli assi centrali di questa strategia. A livello globale, il settore è in notevole sviluppo e ha dato vita a iniziative per oltre 250 miliardi di dollari dal 2009 al 2016, con una concentrazione degli investimenti, che sono collocati per il 71% in Europa, in tre ambiti: sanità (strutture mediche e case di riposo), educazione (scuole e formazione avanzata) e affordable housing (alloggi a prezzi agevolati). Inoltre, per effetto delle epidemie e dell’incremento delle malattie croniche, dell’invecchiamento della popolazione, delle migrazioni e dell’inoccupazione, si affacciano bisogni inediti, che possono essere colti da politiche innovative volte ad affrontare le disuguaglianze esistenti e le crescenti povertà. 

Un piano di lungo periodo per le infrastrutture sociali contribuirebbe a uscire dalla logica delle iniziative di corto respiro, finalizzando le risorse a interventi di carattere strutturale e di riforma. Per di più, sarebbe di grande giovamento per il Mezzogiorno, stabilendo una connessione virtuosa tra gli investimenti e il capitale sociale, favorendo lo snellimento della pubblica amministrazione e la mobilitazione delle energie private, in modo da costruire la massa critica indispensabile per rimettere in moto i territori meridionali. Naturalmente, per raggiungere un risultato tanto impegnativo, in Italia e nel Sud, occorre puntare a una crescita della ricchezza materiale, senza la quale è complicato ogni tipo di redistribuzione. 

Allo scopo di evitare un trade off pubblico-privato tra i comparti più o meno redditizi della sanità, della casa e della scuola, le dotazioni finanziarie necessarie devono derivare anche da un equilibrio a livello macroeconomico tra gli investimenti produttivi, che creano il reddito per sostenere gli interventi infrastrutturali, e le iniziative a fallimento di mercato. In ogni caso, è la logica di una partnership mista la novità per la realizzazione delle infrastrutture sociali.

Nell’ambito di un piano straordinario per questo settore è possibile prevedere un programma di rigenerazione urbana e di attivazione di nuovi profili di welfare su cui concentrare le risorse. Il recupero del patrimonio immobiliare in disuso, superando le angustie del project financing e passando da una forma passiva di cartolarizzazione a una forma attiva di utilizzo di questi beni a scopi sociali con il concorso dei privati, può favorire il successo di nuove modalità di progettazione, rilancio e gestione di interi comparti urbani abbandonati al degrado, soprattutto nel Mezzogiorno.

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