22 novembre 2020   Articoli

Bilancio, fiscalità di vantaggio per creare sviluppo nel Meridione

Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno

Claudio De Vincenti - Economista - Promotore del Manifesto

Al di là di molte, troppe, misure particolaristiche, la Legge di bilancio presenta una ispirazione generale condivisibile ma anche un punto debole e due equivoci pericolosi. Pregi e difetti percorrono l’articolato di legge, anche per quanto riguarda il Mezzogiorno.

Sperando di riuscire a risparmiare al lettore i tecnicismi più noiosi, e trascurando le tante non sempre necessarie voci di importo minore, proverò a riunire quelle di maggiori dimensioni intorno a due assi portanti: misure volte a riattivare la crescita da un lato e misure di tipo redistributivo dall’altro.

Tra le prime: la costituzione di un Fondo di 120 miliardi di euro, che sarà alimentato dalle risorse europee di Next Generation EU e che, in attesa del Piano nazionale di ripresa e resilienza, non viene ancora ripartito per programmi e progetti, salvo una quota di 19 miliardi assegnata per i primi tre anni agli incentivi di Transizione 4.0 (nuovo nome per Industria 4.0); la proroga al 2022 del credito d’imposta per gli investimenti al Sud per un ammontare complessivo di 2 miliardi di euro; la riduzione del 30% dei contributi previdenziali a carico delle imprese per gli occupati dipendenti nel Meridione, misura cui sono dedicati 16 miliardi tra il 2021 e il 2023, ma di cui si prevede una estensione (a scalare) fino al 2029 per ulteriori 24 miliardi.

Tra i provvedimenti di tipo redistributivo: la stabilizzazione dal 2021 in avanti della detrazione per lavoro dipendente introdotta nella primavera scorsa (un po’ più di 3 miliardi l’anno); la costituzione di un Fondo di 8 miliardi per il 2022 e 7 miliardi ogni anno dal 2023 in avanti (cui si aggiungeranno entrate da lotta all’evasione), per finanziare i futuri interventi di riforma fiscale che il Governo si propone di definire nel corso del 2021, compreso l’assegno universale per i figli e i servizi alla famiglia.

Ridotta così all’osso – depurata cioè dalle incrostazioni particolaristiche - l’impostazione della Legge di bilancio ha una sua configurazione intellegibile e, almeno nelle motivazioni ispiratrici, condivisibile. Come anche il fatto che il Mezzogiorno ne sia componente di rilievo. Ma a ben vedere la manovra indicata nella Legge presenta, come dicevo all’inizio, un punto debole e due equivoci pericolosi.

Il punto debole sta nel fatto che restano ancora indeterminati i contenuti concreti delle due componenti più importanti della manovra: i programmi su cui verranno impegnate le risorse europee del Fondo da 120 miliardi, salvo la riedizione potenziata di Industria 4.0; la configurazione che assumerà la riforma fiscale che dovrebbe partire nel 2022, da cui dipendono i suoi reali effetti redistributivi.

Dei due equivoci pericolosi, il primo è stato messo in evidenza dall’analisi che la Commissione Europea ha condotto sul Documento di bilancio inviato dal Governo italiano: diverse misure contenute nella manovra – e tra queste la decontribuzione per gli occupati al Sud e la stessa riforma fiscale – non presentano coperture esplicite e quindi potranno avere effetti di aumento del deficit di bilancio permanenti o comunque molto prolungati nel tempo; il che, per un Paese ad alto debito come il nostro, comporta rischi per la futura sostenibilità della finanza pubblica.

Il secondo equivoco riguarda il modo con cui è costruita la fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno: le risorse sono concentrate sulla decontribuzione, ben 16 miliardi in tre anni e altri 24 a tendere, invece che sul credito d’imposta per gli investimenti al Sud, cui vengono assegnati 2 miliardi e per due soli anni. Come ho già avuto modo di argomentare su queste colonne, la decontribuzione è uno strumento che non assicura in alcun modo che al contributo di risorse pubbliche corrispondano investimenti da parte delle imprese. Al contrario del credito d’imposta, che può essere utilizzato solo a fronte di investimenti reali, ciò di cui il Meridione ha assoluto bisogno.

L’equivoco risulta tanto più eclatante quando si confrontino quei 2 miliardi per gli investimenti al Sud con i 19 miliardi di Transizione 4.0: un incentivo aggiuntivo per il Mezzogiorno pari solo a poco più del 10%! In assenza di un sostegno più forte per il Meridione, il rischio molto concreto è che Transizione 4.0, in sé strumento positivo di spinta agli investimenti delle imprese, sia utilizzata per larga parte al Centro-Nord e che il Sud rimanga ai margini, con un allargamento del divario di produttività e di capacità di crescita.

La soluzione c’è: riservare da subito, entro il Fondo da 120 miliardi di risorse europee, una quota adeguata a potenziare anche il credito d’imposta Sud, in aggiunta a Transizione 4.0, costruendo così una fiscalità di vantaggio che sia promotrice di sviluppo per il Mezzogiorno.

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