02 agosto 2020   Articoli

Ritrovare «la strada smarrita» per non perdere il treno Recovery

Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno

Claudio De Vincenti - Economista - Promotore del Manifesto

Come ritrovare “la strada smarrita” dell’economia e della società italiane? E’ a una riflessione su questo tema, oggetto del bel libro scritto a quattro mani da Carlo Bastasin e Gianni Toniolo (Laterza 2020), due dei più autorevoli studiosi di storia economica e politica, che dedico la rubrica di oggi, l’ultima prima della consueta pausa estiva. Strada smarrita ormai dalla metà degli anni Novanta, rispetto a quel processo di convergenza verso i “primi del mondo” che, una volta completata la costruzione post-unitaria delle istituzioni comuni all’intero Paese, aveva nell’arco di un secolo portato l’Italia nel club dei Paesi avanzati.

Pochi dati consentono agli autori di sintetizzare efficacemente il percorso compiuto e oggi smarrito. Nel 1896 il reddito per abitante italiano era circa il 60% di quello tedesco e francese e addirittura solo il 38% di quello britannico. Un secolo dopo, nel 1995, lo stesso indicatore si attestava al 98% rispetto alla Gran Bretagna, al 94% rispetto alla Francia e all’89% rispetto alla Germania. “Tutte le regioni italiane avevano partecipato a questo straordinario processo di crescita economica e di benessere collettivo, anche se non in modo uniforme”: il divario Nord-Sud non riusciva a ridursi, fatta eccezione per il periodo che va dall’immediato secondo dopoguerra all’inizio degli anni Settanta. Un periodo, segnato come sappiamo dall’intervento straordinario, che mostra una accelerazione nel processo di convergenza dell’Italia verso i principali Paesi avanzati, accompagnato da un “Mezzogiorno che crebbe più rapidamente della media nazionale”.

Ma il percorso a un certo punto si interrompe. Cruciale nell’interpretazione di Bastasin e Toniolo è la temperie che colpisce il nostro Paese a partire dal 1992 quando, a fronte dei mutamenti epocali che stavano generando una nuova globalizzazione, una rivoluzione tecnologica e nuovi assetti internazionali, l’Italia vive contemporaneamente una crisi valutaria dovuta a perdita di competitività e a debito pubblico e una crisi di fiducia nelle istituzioni a seguito di Tangentopoli. “Concentrato sulle proprie contraddizioni, il Paese stentò a capire che il contesto mondiale … richiedeva di ridefinire il ruolo dell’Italia, la qualità delle produzioni, la stabilità dei comportamenti”.

Si conseguono in quegli anni due risultati decisivi: viene definitivamente piegata l’inflazione e, soprattutto, riesce l’operazione di aggancio alla moneta unica europea. Ma viene poi sprecata nei primi anni Duemila l’occasione, fornita proprio dalla discesa dei tassi di interesse conseguenza dell’adesione all’euro, per piegare finalmente il debito pubblico. Si avvia un processo di riconversione di una parte delle imprese che cominciano a sviluppare tecnologie innovative e a inseririsi nelle catene globali del valore, ma nel complesso l’aggiustamento del sistema produttivo procede lentamente e in modo diseguale tra i territori e la crisi di fiducia frena le intenzioni di investimento delle imprese. Il Mezzogiorno, che dopo l’esaurimento negli anni Settanta dell’intervento straordinario aveva visto prevalere un uso assistenziale delle risorse con la conseguenza di una accentuata dipendenza dai trasferimenti statali, risente in modo negativo delle minori disponibilità di finanza pubblica.

La crisi del 2008 impatta così su un Paese che ha ancora un debito elevato e coglie le imprese in mezzo al guado di una riconversione non ancora compiuta. Gli effetti sono pesantissimi, con una caduta del Pil senza precedenti e un allargamento delle distanze tra Nord e Sud. Non sono mancati negli anni successivi tentativi di allungare l’orizzonte temporale delle scelte di politica economica per ricostruire le basi della crescita, ma si sono rivelati inadeguati e alla fine purtroppo rimessi in discussione.

La conclusione degli autori è che “l’instabilità politica e quella finanziaria, l’un l’altra legate” hanno radicato un clima di incertezza e “a forza di incertezza, anno dopo anno, la dotazione di capitale del Paese è scesa e si è impoverita”, fino ad avvicinarci a “una crescita potenziale prossima allo zero”. Questo il “punto al quale l’Italia è arrivata” con il rischio imminente di “avvitamento, in un circolo infernale debito - bassa crescita – debito”. Come mostra però la storia d’Italia, è possibile superare crisi anche gravissime attraverso “l’allungamento degli orizzonti della politica e delle scelte economiche”, attraverso “lo sforzo di tutti per ritrovare nell’obiettivo della crescita economica un minimo comun denominatore”.

Ed è esattamente questo, aggiungo io, il passaggio cui sono attesi Governo e forze politiche e sociali oggi che l’Italia è chiamata a presentare progetti concreti e operativi di utilizzo del Recovery Fund per la ricostruzione del proprio tessuto produttivo. E’ questa l’occasione, da non lasciarci sfuggire, per ritrovare la “strada smarrita”.

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