13 settembre 2020   Articoli

Costo del lavoro e status quo. Fiscalità di vantaggio per innovare

Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno

Claudio De Vincenti - Economista - Promotore del Manifesto

Per colmare il divario rispetto al Centro-Nord, il Mezzogiorno ha bisogno di un salto di quantità e di qualità degli investimenti. A questo deve servire la fiscalità di vantaggio. Non sembra purtroppo andare in questa direzione il provvedimento del Governo.

L’articolo 27 del Decreto Agosto prevede, per le imprese operanti nelle Regioni meridionali, l’esonero dal versamento del 30% dei contributi previdenziali su tutti i loro dipendenti per il quarto trimestre dell’anno in corso e rinvia a un successivo DPCM la definizione delle modalità per estendere questo tipo di intervento al periodo 2021-29. Il tutto subordinato, come è necessario, all’autorizzazione da parte della Commissione Europea. La Relazione tecnica quantifica in circa 1,2 miliardi di euro il costo per la finanza pubblica corrispondente all’esonero nel quarto trimestre, cosicché possiamo pensare che la sua eventuale estensione negli anni successivi comporterebbe un onere annuo compreso tra i 4,5 e i 5 miliardi.

L’orizzonte decennale che il Governo intende dare a questa misura e il rilevante impegno di risorse che essa comporta segnalano il carattere di leva fondamentale di sviluppo che le viene attribuito. Ma siamo sicuri che sia proprio questa la leva fondamentale? La ratio sottesa all’impostazione adottata dal Governo consiste nel fatto che l’esonero contributivo consente di avvicinare il costo del lavoro per le imprese meridionali alla produttività del lavoro, giacché questa al Sud risulta, al di là delle punte di eccellenza che pure vi sono, mediamente inferiore rispetto al Centro-Nord. La decontribuzione è un modo quindi per cercare di equiparare la competitività di costo nelle due macroaree del Paese e così dare sostegno alle imprese operanti nel Meridione.

Ed è esattamente qui che sorgono i dubbi sulla reale efficacia dello strumento. Esso produce infatti un allineamento verso il basso, ossia il costo del lavoro nel Mezzogiorno viene sussidiato per un periodo di dieci anni in funzione della più bassa produttività. Il rischio è quello di assecondare lo status quo, bruciando risorse per sostenere la redditività delle imprese indipendentemente dal loro impegno in investimenti e innovazione. Quando prima o poi l’esonero contributivo dovrà finire, saremmo come si usa dire “da capo a dodici”.

Il vero obiettivo per il Sud dovrebbe consistere non nella difesa dello status quo ma nella generalizzazione dell’esperienza delle sue imprese migliori all’insieme del tessuto produttivo, elevandone la produttività agli standard del Centro-Nord. Un obiettivo che passa essenzialmente per più investimenti privati e di migliore qualità, oltre naturalmente che per quelli pubblici finalizzati alla creazione del necessario contesto infrastrutturale, ambientale, formativo. 

Molto più interessante è allora un’altra strada per realizzare una fiscalità di vantaggio ed è su questa che sarebbe bene concentrare gli sforzi del negoziato che si dovrà fare a Bruxelles per allargare le maglie degli aiuti consentiti. Mi riferisco a quella avviata, nei limiti della normativa europea allora in vigore, con il Credito d’imposta per gli investimenti al Sud che, combinandosi con gli incentivi di Industria 4.0 (superammortamento e iperammortamento), aveva innescato programmi di investimento significativi da parte delle imprese: oltre 8 miliardi di euro tra primavera 2017 e fine 2018, facendo leva su uno stanziamento complessivo di 2,4 miliardi. E’ uno strumento che concentra le risorse sulle imprese sane (a redditività positiva) che nel Mezzogiorno fanno investimenti, sviluppano base produttiva, innovazione, produttività, e creano così posti di lavoro che stanno sul mercato e sono destinati a durare.

Si tratta allora di puntare a incrementare le percentuali di incentivo consentite per questo strumento dalla Commissione Europea e ad allargarne i settori e gli ambiti di applicazione, aumentando consistentemente lo stanziamento di risorse rispetto a quello originario. E si tratta di renderlo ancora più incisivo per i grandi investimenti da localizzare nelle Zone economiche speciali in modo da fare di queste ultime un fattore di innesco della crescita per tutto il territorio circostante. Le chances di successo a Bruxelles sarebbero, per questo tipo di intervento, molto maggiori, in quanto esso si configura del tutto coerente con le finalità del Recovery Fund.

Quando si mettono in campo risorse importanti, è necessario indirizzarle verso gli strumenti più efficaci per ricostruire le basi strutturali della crescita del Mezzogiorno e del Paese. Strumenti che non si accontentino di fornire compensazioni alla situazione esistente ma che puntino a spostare in avanti la frontiera delle capacità produttive e dell’innovazione.

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